Parte iii

PARTE III
PREVENZIONE E TRATTAMENTO
DELLE COMPLICANZE
TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE
INTRAOPERATORIE
Sanguinamenti : Sanguinamenti importanti
intraoperatori sono rari anche rispetto ad altri interventi effettuati per carcinosi, anche perchè i tumori che si estrinsecano con carcinosi peritoneale sono spesso facilmente sanguinanti e l’asportazione totale della neoplasia su piani liberi, asportazione quindi del peritoneo parietale extrafasciale, diminuisce notevolemente il sanguinamento. Sanguinamenti intraoperatori possono presentarsi comunque come sanguinamenti a nappo dalle superfici cruentate o come sanguinamenti da lesioni vascolari. I primi vengono facilmente dominati con l’uso di elettrobisturi con elettrodo a sfera o con elettrobisturi ad argon. I sanguinamenti vascolari anche se provenienti da piccoli vasi vanno trattati con legature in seta 3/0. Le lesioni intraoperatorie più temibili sono le lesioni dei vasi venosi iliaci, della cava e delle sovraepatiche; in tutti i casi tali lesioni vanno trattate con sutura vascolare continua con filo 5/0 di prolene. I danni vascolari sopra descritti non avvengono mai per lesione diretta da parte del chirurgo ma più spesso nel tentativo di asportare residui di tessuto neoplastico. Possono risultare di difficile riparazione se dovuti a lacerazione; in questi casi è preferibile effettuare una emostasi temporanea digitale ed una riparazione con sutura vascolare non riassorbibile. Il tentativo di clampaggio vascolare non solo è molto difficile da attuare ma può essere causa di ulteriori lesioni Perforazioni vescicali e lesioni ureterali :
Durante la dissezione del peritoneo prevescicale nella sua parte superiore è possibile, qualora sia particolarmente adeso alla vescica o siano presenti noduli di carcinosi infiltranti la muscolare, provocare lesioni della parete vescicale che possono essere suturate direttamente senza alcun problema con suture riassorbibili a lungo termine. Nella dissezione dello scavo, a ridosso della parete anteriore della vagina nella donna o del retto nel maschio, sono possibili, anche se rare, lesioni in sede trigonale che debbono essere anch’esse suturate ma, per una maggiore sicurezza sulla tenuta, associate al posizionamento o di cateteri ureterali fatti fuoriuscire direttamente da due piccole brecce vescicali o da stent tipo mono J trans uretrali che permettano la detersione del trigono evitando la raccolta di urine in vescica. Il posizionameno di un catetere vescicale a permanenza, in questi casi non assicura una completa detersione vescicale, anzi, la presenza del pallone potrebbe provocare, decubitando, una mancata cicatrizzazione del trigono. In caso di lesioni ureterali, durante la dissezione dello scavo pelvico o all’incrocio con i vasi iliaci , queste debbono essere riparate mediante sutura a punti staccati 4/0 extramucosa con filo non riassorbibile posizionando uno stent doppio J che ne assicuri la tenuta. Per evitare lesioni iatrogene dell’uretere, nei casi in cui la TC abbia dimostrato compressione ureterale senza idronefrosi di notevole entità riteniamo utile il posizionamento, prima dell’intervento, di cateteri ureterali tipo Pollack che possono essere rimossi a fine intervento. Nei casi di compressione o depiazzamento ureterale con idronefrosi mono o bilaterale preferiamo posizionare prima dell’intervento stent ureterali doppio J. Perforazioni diaframmatiche
La dissezione del peritoneo diaframmatico, quando quest’ultimo non presenta una carcinosi “a tappeto” può risultare disagevole per l’esiguo spessore peritoneale e sono possibili perforazioni diaframmatiche iatrogene. Nei casi in cui le lesioni avvengano in tessuto “sano” o siano di piccole dimensioni da 5mm a massimo 1 cm, possono essere suturate direttamente. Quando la lesione a- Sia di dimensioni maggiori di un centimetro b- Si presupponga che dalla breccia vi sia stato passaggio di liquido peritoneale o sangue con c- Sia stata provocata in una zona ricca di carcinosi la breccia diaframmatica deve essere lasciata aperta durante la per fusione, affinché il chemioterapico raggiunga anche la cavità toracica onde evitare l’impianto di cellule neoplastiche in cavità pleurica con comparsa di Ischemie degli organi cavi
Può accadere che durante la dissezione di neoformazioni neoplastiche a ridosso del mesentere o della piccola curva gastrica vengano accidentalmente o per necessità sezionati dei vasi. E’ fondamentale in questi casi, dopo aver effettuato il tempo di perfusione, attuare un controllo meticoloso degli organi cavi; sarebbe infatti imperdonabile lasciare in sede tratti di tenue, colon o stomaco in preda a lesioni ischemiche che evolverebbero sicuramente nel postoperatorio in perforazioni. L’osservazione, e la revisione della cavità deve necessariamente, in questi casi, essere fatta dopo la perfusione, poiché l’insulto del chemioterapico a carico di organi parzialmente ischemizzati risulta essere maggiore, e lesioni ischemiche non visibili prima della perfusione possono risultare Nei casi di sofferenza vascolare evidente di un organo cavo sarà quindi necessario effettuare una resezione con conseguente aumento del rischio di morbilità postoperatoria per la presenza di una o più anastomosi. COMPLICANZE POSTOPERATORIE
Le complicanze postoperatorie dopo intervento di peritonectomia totale raggiungono in alcune statistiche il 30% e si distinguono in Sistemiche e Locali. Le sistemiche originano dalla combinazione di diversi fattori legati alla risposta del paziente al trauma chirurgico e chemioterapico che vanno a sovrapporsi a deficit preesistenti dovuti spesso a precedenti chemioterapie. Le complicanze locali sono invece il diretto portato del trattamento chirurgico, in alcuni casi imperfetto, e dell’effetto tossico della chemioipertermia su strutture anatomiche già traumatizzate dall’intervento. Complicanze sistemiche:
La chemioterapia accentua i fenomeni normalmente attivati dal trattamento chirurgico che si associano a tossicità specifiche dei farmaci usati e sono: d- Danno epatico, renale,della membrana alveolo Si potranno osservare quindi nel postoperatorio una sequela di complicanze sistemiche che normalmente vengono evidenziate dopo interventi di chirurgia maggiore ma che in questi pazienti si presentano con maggiore Polmonari
Il versamento pleurico, dopo peritonectomia estesa ai diaframmi seguita da perfusione ipertermico antiblastica, è la regola. Per questo motivo a fine intervento vengono sempre posizionati due drenaggi pleurici subito sopra ai diaframmi che serviranno nel postoperatorio all’evacuazione del versamento reattivo. La causa della non infrequente osservazione di processi broncopneumonici è dovuta a diversi fattori che predispongono il paziente ad infezioni del tratto 1) La lunga ospedalizzazione con sovrapposizione di 2) La degenza postoperatoria in terapia intensiva soprattuttto nei casi in cui il paziente venga 3) La mancata attuazione di una precoce terapia riabilitativa della dinamica respiratoria Il trattamento di queste complicanze non può prescindere dall’uso di antibiotico terapia che però da sola spesso non riesce a risolvere la problematica in tempi brevi. Sarà utile nei casi a risoluzione lenta effettuare un esame broncoscopico con broncoaspirazione che permette: 1) Una disostruzione anche reiterata dell’albero 2) Tipizzazione, attraverso coltura ed antibiogramma del secreto bronchiale dei germi responsabili 3) Attuazione di una terapia antibiotica specifica e La FKT respiratoria precoce andrebbe attuata in tutti i pazienti, non solo per prevenire patologie polmonari, ma anche per facilitarne la risoluzione quando già in atto; va ricordato, infatti che in questi casi, i processi infettivi riguardano nella quasi totalità le basi polmonari, poiché la peritonectomia diaframmatica ne provoca la ipomobilità . Dopo la rimozione dei drenaggi toracici, è possibile talvolta osservare un versamento pleurico tardivo o recidivante spesso discrasico; tali versamenti vanno evacuati solo se incidono negativamente sulla dinamica respiratoria e sono di cospicua entità ( maggiori di 500cc). Preferiamo effettuare sempre una toracentesi ecoguidata che permette la completa evacuazione del versamento portando quasi a zero il rischio di PNX dovuto alla procedura. Un PNX in questi pazienti obbligherebbe al posizionamento di un nuovo drenaggio pleurico con aumento del rischio di infezioni e peggioramento della Tutti i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore vengono ormai trattati con profilassi antitrombotica che ha diminuito notevolmente l’incidenza di questa complicanza; è infatti sempre più raro osservare embolie polmonari massive. Va ricordato però che questi pazienti, spesso sottoposti anche a splenectomia, possono presentare nel postoperatorio una piastrinosi. L’osservazione nel postoperatorio di dispnea acuta, con o senza modificazioni dell’ECG ed innalzamento del dimer test, deve comunque sempre far pensare ad una embolia polmonare. In tutti i casi è indispensabile escludere tale complicanza con scintigrafia polmonare perfusionale eventualmente associata a scintigrafia ventilatoria. E’ infatti possibile osservare microembolie polmonari, anche in assenza di foci emboligeni quali trombosi dei vasi venosi degli arti o trombosi cavale, che vanno comunque esclusi mediante un esame ecocolordoppler. Quando ci si trova di fronte ad un paziente con microembolia polmonare postoperatoria precoce, la scelta terapeutica è quanto mai difficile poiché l’utilizzazione di eparina sodica e.v. è a rischio di ulteriori complicanze emorragiche soprattutto in questi pazienti che spesso, come vedremo, presentano deficit dei fattori della coagulazione. Fortunatamente, è oggi possibile attuare, nei casi di microembolia nell’immediato postoperatorio, una terapia di supporto basata sulla somministrazione di O2 attraverso venti mask, raddoppiando i dosaggi dell’ eparina a basso peso molecolare e mantenendo il paziente “asciutto”, associando eventualmente furosemide per evitare la sovrapposizione di un polmone umido. Nelle embolie polmonari di più grave entità, dimostrate alla scintigrafia e confermate alla TC multistrato, riteniamo utile una angiografia selettiva con posizionamento di catetere a permanenza ed infusione di urochinasi Disturbi coagulativi
Dopo perfusione ipertermico antiblastica è facile osservare disturbi coagulativi probabilmente causati dall’azione della perfusione e dall’assorbimento del chemioterapico dalle superfici cruentate con aumento dell’INR, diminuzione dell’ATIII e aumento del fibrinogeno. La coagulazione in questi pazienti non deve essere alterata pena complicanze addominali quali le emorragie a carico delle superfici cruentate durante l’intervento con formazione di raccolte ematiche endoaddominali. A tale scopo riteniamo indispensabile il controllo giornaliero, almeno nella prima decade postoperatoria, del panel della coagulazione facendo maggior attenzione ai valori dell’ATIII e dell’ INR. La somministrazione di ATIII e.v. associata ad infusioni di plasma a dosaggio terapeutico (1200cc per un paziente di 70 kg), con eventuale aggiunta di Vitamina K fino a normalizzazione stabilizzata dei valori. Dopo splenectomia si assiste spesso ad un effetto paradosso dove i suddetti deficit coagulativi si associano a piastrinosi. Riteniamo quindi utile proseguire sempre la terapia con eparine a basso peso molecolare, reintegrando di volta in volta i fattori della coagulazione deficitari ed associando nei casi più eclatanti antiaggreganti piastrinici. COAGULAZIONE INTRAVASALE DISSEMINATA
La CID si presenta, in questi pazienti più spesso nel postoperatorio precoce ed è stata già trattata nel capitolo relativo alla terapia intensiva postoperatoria. Crediamo sia utile rimarcare in questa sede come i pazienti sottoposti ad intervento di peritonectomia siano particolarmente esposti alla CID poiché i processi infiammatori postoperatori e soprattutto postchemioterapici inducono una risposta particolarmente importante delle citochine e soprattutto del TNF (Tumor • agendo sulle regioni regolatorie dell'omeostasi termica nell'ipotalamo induce la sintesi di prostaglandine che provocano un innalzamento del set-point ipotalamico, e quindi ipertermia. ( • Stimola i fagociti mononucleati a produrre IL-1 e IL-6. (Cascata di Citochine indotta da TNF). • Stimola gli epatociti a produrre le Proteine di Fase • Inibisce la replicazione delle cellule staminali del Dobbiamo poi evidenziare come la presenza di una infezione da gram negativi che producono LPS peggiori notevolmente la situazione poiché l’LPS attiva a cascata il TNF che a sua volta attiva l’IL1 e l’ IL6 ( interleuchina 1 e La risposta a questi fattori in alte dosi provoca: • Riduzione della Perfusione Tissutale in seguito a: - Depressione della contrattilità miocardia - Rilascio del tono della muscolatura liscia vasale, sia direttamente che indirettamente, stimolando la produzione da parte dell'endotelio di sostanze vasodilatatrici come l'ossido nitrico (NO). • Causa gravi disturbi metabolici, quali abbassamento della glicemia fino a valori La prevenzione di questa temibile complicanza si basa sul rilevamento giornaliero dei valori della coagulazione ed in particolare dell’Antitrombina III . La ricerca meticolosa di infezioni, soprattutto da gram negativi, al minimo sospetto con monitoraggio batteriologico delle secrezioni corporee (sangue, urine, drenaggi) ed al loro trattamento con COMPLICANZE LOCALI
Emorragie
Le complicanze emorragiche possono presentarsi nel postoperatorio precoce come emorragie acute o nel postoperatorio tardivo come anemizzazioni croniche, le prime, fortunatamente molto rare, sono emorragie cataclismatiche e vengono evidenziate dalla presenza di sangue rosso vivo in uno o più drenaggi addominali. Queste necessitano di un intervento immediato d’urgenza teso all’arresto dell’emorragia. Le cause più frequenti delle emorragie acute sono dovute alla mancata tenuta delle legature dei peduncoli vascolari dopo la resezione di organi addominali quali il colon, la milza e lo stomaco. La causa della mancata tenuta delle legature vascolari è spesso da ascriversi all’effetto della chemioipertermia sul laccio stesso. Preferiamo infatti effettuare legaure critiche ( art.gastrica sin, mesenterica, splenica ) con lacci in seta 3/0 o 2/0 che non vengono alterati nè dal calore nè dal chemioterapico vista la struttura del filo che tende, se sottoposto all’azione di un liquido ad imbibirsi, ad aumentare di volume e stringere sul nodo. Meno drammatiche sono le emorragie dovute al sanguinamento tardivo delle superfici cruentate, più frequenti tra tutte quelle in sede sottodiaframmatica e pelvica. Queste emorragie si presentano con anemizzazione progressiva del paziente che deve essere prontamente trattata con emotrasfusioni. Le concause di questa complicanza sono da ricercarsi in disturbi aspecifici della coagulazione relativi a deficit di antitrombina III dovuta alla chemioipertermia. L’infusione di plasma fresco e AT III il più spesso risolve tali problemi emorragici. In alcuni casi è possibile che l’emorragia a nappo dei diaframmi o dello scavo pelvico evolva nella formazione di una raccolta di coaguli in tale sede. In corso di una anemizzazione lenta ma progressiva è utile effettuare un esame TC multistrato dell’addome per la ricerca di raccolte ematiche. L’indicazione al trattamento chirurgico di tali raccolte è legato a due fattori : la dell’anemizzazione o la presenza di febbre associata con una evidenza tc di raccolte ematiche organizzate. E’ indispensabile per diminuire l’incidenza delle complicanze emorragiche, quando si utilizza la tecnica open di perfusione sec. Sugarbaker, effettuare un meticoloso controllo post perfusione di tutto l’addome tamponando le logge addominali con pezze laparotomiche che debbono essere rimosse una alla volta perfezionando l’emostasi settore per settore. L’uso di colla di fibrina per il trattamento di emorragie a nappo non è indicato dopo peritonectomia con perfusione, poiché la colla di fibrina tende ad intrappolare eventuali cellule neoplastiche libere in peritoneo e vitali che potrebbero essere causa di Le fistole entero cutanee, come le perforazioni in cavità sono dovute all’effetto necrotizzante della chemioipertermia su i noduli neoplastici intraoperatoriamente trattati con elettrofolgorazione. Le Fistole possono presentarsi come una modica perdita di materiale enterico al livello dell’incisione mediana, da un drenaggio addominale o come vere e proprie fistole enteriche ad alta portata. Riteniamo che debbano essere trattate con reintervento chirurgico solo le fistole ad alta portata con ripercusssione sulle condizioni generali del paziente, febbre e perdite idroelettrolitiche tali da non poter essere tranquillamente gestite con reinfusione di liquidi e sali. Utilizziamo in tutti i casi di fistola enterica senza indicazione a reintervento il mantenimento della NPT con aggiunta di somatostatina al dosaggio di 6 mg/24h in pompa infusionale. L’eventuale reintervento deve tendere alla risoluzione della fistola evitando enastomosi enteriche: preferiamo quindi, nelle fistole del tenue distale sempre il confezionamento di una ileostomia, negli altri casi, in presenza di tessuto vitale con perforazione di piccole dimensioni, l’affondamento della perforazione e solo nei restanti casi la resezione- anastomosi dell’ansa sede di fistola . Tutti i reinterventi per fistola dovrebbero essere effettuati se possibile su fistole stabilizzate e quindi dopo almeno 7 gg di terapia medica semprechè queste non siano, come già detto, ad alta portata o con diffusione di materiale enterico in cavità ( più drenaggi secernenti in più logge addominali). Perforazioni
Le perforazioni del tubo digerente dopo peritonectomia con chemioipertermia sono dovute a due cause principali: problemi di vascolarizzazione e perforazione per effetto necrotizzante del chemioterapico su noduli neoplastici trattati intraoperatoriamente con elettrofolgorazione. Le perforazioni gastriche e duodenali sono causate, nella maggior parte dei casi, da disturbi vascolari dovuti alla “pulizia” della regione periduodenale, del peduncolo epatico, della grande e della piccola curva gastrica e della retrocavità degli epiplon; infatti durante la dissezione della neoplasia in questi settori anatomici è spesso necessario sacrificare alcuni peduncoli vascolari quali a.gastroduodenale, a. gastroepiploica e/o a.gastrica dx. Quindi dopo tali dissezioni, lo stomaco ed il duodeno restano vascolarizzati esclusivamente dall’A.gastrica sinistra e dall’A.pancreaticoduodenale. Una valutazione accurata dell’organo dopo dissezione e dopo chemioipertermia permette di escludere con una bassa percentuale di errore le condizioni dello stomaco e del duodeno. Nel caso in cui a fine procedura lo stomaco o il duodeno superiore presentino scarsa vascolarizzazione è indicata l’associazione di una gastroresezione pur sapendo che tale procedura incide sulla morbilità totale.In caso di perforazione acuta gastrica o duodenale l’intervento deve essere effettuato d’urgenza; la scelta del tipo di trattamento chirurgico è legata esclusivamente alle condizioni locali del viscere: affondamento della lesione perforativa in caso perforazioni recentabili o difficoltà di mobilizzazione per sindrome aderenziale precoce, resezione solo nei casi in cui l’organo sia facilmente mobilizzabile e si preveda una buona tenuta delle anastomosi. Il posizionamento del sondino nasogastrico a scopo decompressivo è fondamentale per la tenuta Le perforazioni del tenue sono invece dovute nella quasi totalità dei casi all’effetto necrotizzante della chemioterapia su noduli neoplastici elettrofolgorati all’intervento e seguono i criteri di trattamento descritti Occlusioni
Le cause di occlusione postoperatoria dopo peritonectomia sono dovute a tre cause principali che sono: 1) Mancata citoriduzione CC0 con residui noduli neoplastici sul tenue o sul suo meso che aderendo tra loro provocano lo strozzamento dell’ansa, o a causa di progressione precoce di malattia tendono a stenotizzare 3) Sindrome aderenziale postoperatoria con aderenze viscero viscerali o incarceramento di anse sulle superfici cruentate dello scavo pelvico o della parete addominale. Prima di definire un paziente sottoposto a peritonectomia “occluso”, è necessario valutare bene la situazione clinica poiché a causa del lungo e traumatizzante intervento subito, nonché a causa della chemioipertermia è comune osservare anche un notevole ritardo della canalizzazione. E’ frequente confondere un ileo paralitico, prolungato in questi pazienti, da un ileo meccanico. In alcuni casi l’ileo può prolungarsi anche per più di una settimana rimanendo nella normalità. Clinicamente si parla di ileo meccanico solo in presenza della sintomatologia classica : dolore, ristagno e peristalsi vivace almeno in un quadrante addominale. Crediamo che questa complicanza debba essere prevista in tutti i casi di citoriduzione incompleta del tenue e paradossalmente nei casi in cui per ottenere una buona citoriduzione sia stato necessario trattare con elettrovaporizzazione ampie aree del margine libero del tenue o del suo meso. Prima di procedere a reintervento, crediamo debbano essere messi in atto tutti i presidi medici del caso siano essi farmacologici che meccanici, uso di procinetici, prostigmina, clisteri per via naturale o attraverso le stomie, uso di catartici preferibilmente oleosi per os. In caso di mancata risoluzione della sindrome occlusiva dopo tali terapie, sarà necessario procedere al reintervento avendo, attraverso un esame radiologico con contrasto (clisma attraverso la stomia o seriato del tenue) quando possibile localizzato la sede dell’ostruzione per un miglior approccio chirurgico. In tutti i casi di reintervento si tenderà ad evitare nuove anastomosi procedendo ad una attenta viscerolisi e confezionando, se l’ostruzione è a carico del tenue distale, una ileostomia dopo aver resecato il tratto stenotico. Qualora ci si trovi costretti al confezionamento di una anastomosi, questa deve essere fatta in tessuto sicuramente sano, controllando eventuali Pancreatiti
Le pancreatiti dopo intervento di peritonectomia sono sempre in agguato, e spesso, anche in un postoperatorio ideale, si osservano aumenti delle amilasi e delle lipasi sieriche. Fortunatamente solo in rari casi ci si trova di fronte a vere pancreatiti postoperatorie. La causa scatenante della pancreatite postoperatoria in questi pazienti è da ricercarsi nell’insulto dovuto alla chemioipertermia, soprattutto se il drenaggio di inflow è stato posizionato in sede sovramesocolica o a ridosso del pancreas o a lesioni anche minime e superficiali della capsula pancreatica durante l’intervento chirurgico. Appare chiaro come sia indispensabile controllare il buon posizionamento dell’inflow durante la perfusione. Soprattutto con la tecnica aperta, durante le manovre di rimescolamento del perfusato, è possibile la dislocazione del dranaggio che deve essere sempre controllato e riposizionato a congrua distanza dal pancreas. Per quanto riguarda le pancreatiti a bassi valori di amilasemia e lipasemia, crediamo si tratti esclusivamente di modificazioni sieriche relative alla metodica che non debbono essere trattate farmacologicamente. In caso di valori di amilasemia almeno 3 volte maggiori del normale riteniamo utile inserire in terapia il “gabesato mesilato“ al dosaggio di 9 fiale die (900 mg) in infusione continua nelle 24h in pompa.Le pancreatiti post peritonectomia necessitano di intervento chirurgico solo nei casi in cui sia presente una raccolta addominale infetta e mal drenata, o nei casi di pancreatite emorragica. Il reintervento deve tendere, se presenti raccolte infette, alla loro rimozione con posizionamento di drenaggi multipli che permettano una irrigazione lavaggio della loggia pancreatica. Le lesioni chirurgiche della capsula pancreatica possono evolvere in fistole pancreatiche a bassa portata che si risolvono in genere lasciando in sede il drenaggio posizionato all’intervento o effettuando un drenaggio per cutaneo in presenza di raccolte tardive, dopo la rimozione dei drenaggi operatori. Il tempo medio di guarigione di queste fistole è di 3 settimane. Deiscenze anastomotiche
La perfusione aperta con il metodo di Sugerbaker prevede il confezionamento delle anastomosi a fine procedura (motivazioni esposte nel capitolo tecnica di perfusione), quindi su anse intestinali, esofago distale, monconi colici etc edematosi ed imbibiti; nella perfusione chiusa, di contro, le strutture anatomiche anastomizzate si edemizzano dopo la perfusione. In entrambi i casi si tratta di anastomosi a rischio poiché se l’anastomosi viene confezionata dopo la perfusione, su tessuto edematoso, la sutura può traumatizzarlo tanto da incidere sulla sua vascolarizzazione e una volta ridotto l’edema i punti posizionati possono risultare “ lenti”. Nel caso di perfusione chiusa, l’edema postperfusione crea una tensione sulla sutura stessa con possibilità di sofferenza ischemica. Da quanto sopra si evince che tutte le suture confezionate in corso di peritonectomia sono a rischio di deiscenza. Unica indicazione, che possiamo dare è di effettuare solo le suture indispensabili, non eccedere nelle resezioni intestinali e confezionare suture con suturatici meccaniche che permettono una buona adeguatezza, ripetibilità dell’atto chirurgico e standardizzazione. Se l’anastomosi gastrodigiunale dopo gastrectomia deve essere effettuata, in un paziente al quale abbiamo praticato una colectomia totale e una resezione di un tratto di tenue,è preferibile effettuare una ileostomia terminale affondando il moncone rettale. Una volta chiarita la problematica intraoperatoria possiamo rivolgerci al trattamento delle deiscenze vere e proprie. Crediamo che la spia di una deiscenza siano i drenaggi e la diagnosi sia simile a quanto abbiamo esposto per le fistole e le perforazioni. In presenza di una deiscenza anastomotica del tenue distale, ribadiamo come trattamento principe l’ileostomia. Ben complesso è il trattamento chirurgico delle deiscenze gastrodigiunali che vanno trattate con totalizzazione gastrica poiché sempre causate da scarsa vascolarizzazione dell’organo. Le deiscenze esofago digiunali sono sicuramente le più gravi e necessitano anch’esse del riconfezionamento dell’anastomosi in tessuto sicuramente sano. Il posizionamento di nuovi Un trattamento separato meritano le deiscenze del moncone duodenale affondato; in questi casi è necessario provvedere al riaffondamento del duodeno associato a digiunostomia di decompressione o nei casi in cui non sia possibile, riaffondare il confezionamento di una duodenostomia. E’ chiaro che il reintervento dovrà essere effettuato solo nei casi di fistole ad alta portata, non completamente drenate, in pazienti settici e comunque messi in atto tutti i presidi medici che possano risolvere la deiscenza: NPT, antisecretivi,digiuno,drenaggio in aspirazione etc. Le deiscenze duodenali ed esofago digiunali vedono la più alta mortalità postoperatoria tra tutte le complicanze della peritonectomia. PROBLEMATICHE DI TERAPIA INTENSIVA
POSTOPERATORIA
INTRODUZIONE La chirurgia oncologica, con l’adozione di tecnche combinate di citoriduzione chirurgica e chemioterapia ipertermica intra e perioperatorie in pazienti con neoplasie intraperitoneali estese,oltre a dare una speranza di sopravvivenza ad un numero maggiore di persone , ci porta ad affrontare una serie di problematiche in parte nuove e sempre più complesse in rapporto alla demolitività delle tecniche, alla durata degli interventi ed alla tossicità dei farmaci impiegati Una delle conseguenza della complessità è che questi pazienti sono candidati, dopo l’intervento chirurgico, ad un soggiorno più o meno prolungato in Rianimazione, anche in considerazione delle condizioni cliniche legate all’avanzamento della malattia neoplastica ed alle patologie comitanti. Vari specialisti ( chirurgo, oncologo, anestesisti, rianimatori, cardiologo, pneumologo) devono formulare una attenta valutazione multidisciplinare del rischio operatorio e porre una corretta indicazione chirurgica che porti all’ammissione a questi protocolli terapeutici così invasivi, solo pazienti con realistiche possibilità di sopravvivenza e che non abbiano, già in partenza, condizioni che possano rendere oltremodo problematico l’affrancamento dai supporti intensivi . Ciò premesso occorre comunque essere consci del fatto che nella maggior parte dei casi ci si verrà a trovare di fronte a pazienti ad altissimo rischio e difficili da gestire e, seppure le condizioni cliniche pre operatorie fossero ottimali, l'invasività dell'intervento imporrebbe l'adozione di trattamenti e monitoraggi adeguati. Condizioni cliniche del paziente In linea di massima l'emodinamica deve essere stabile e la valutazione cardiologica con ecocardiografia deve aver escluso cardiomiopatie in compenso troppo labile, angina instabile e cardiopatie ischemiche gravi.Per quanto possibile, in relazione anche al fatto che la progressione della malattia non consente una preparazione farmacologica pre-intervento di lunga durata, la stabilizzazione del paziente sul piano cardiologico con betablocco a bassi dosaggi negli ischemici con buona FE, e con antiaritmici, vasodilatatori e diuretici nei pazienti in compenso labile,.deve avvenire in tempi relativamente rapidi. Occorre porre particolare attenzione ai pazienti affetti da BPCO severe o con esiti di radioterapie; lo studio pre operatorio prevede sempre RX e TAC torace, Prove di Funzionalità Respiratoria ed EGA Lo stato nutrizionale,e la crasi ematica devono essere
attentamente valutati, specie in caso di ascite ed altre
patologie che comportino perdite preoteiche copiose.
Qualora fosse necessario , può essere utile un periodo di
integrazione nutrizionale con NPT pre operatoria.
Intervento chirurgico
L’intervento chirurgico è sempre demolitivo, con
numerose resezioni intestinali,gastrectomia
splenectomia,colecistectomia omentectomia,
isteroannessectomia e peritonectomie tra loro combinate a seconda dei singoli casi; l’intervento si protrae per molte ore e grandi sono le perdite ematiche e di liquidi attraverso il campo operatorio. L’ipotermia , prima della perfusione calda dei chemioterapici, è la regola; a questa segue lo shock termico del rapido riscaldamento del cavo addominale e quindi la vasodilatazione e la caduta delle resistenze vascolari periferichee che rende necessario espandere rapidamente la volemia. La reintegrazione prevede l'uso di sangue e plasma fresco
congelato oltre che cristalloidi e colloidi.( alcuni usano
albumina al 5% ma nel nostro Reparto si tende a farne un
uso molto ridotto sia per i costi elevati che per la sua
discussa efficacia)
La chemioterapia intraoperatoria induce una ridotta
risposta immunitaria che associata alla estese
speritoneizzazioni , alle viscerolisi e alle possibili
microperforazioni dell’intestino, espone il paziente ad un
rischio elevato di infezioni intraddominali.
Chemioterapia intraoperatoria
I chemioterapici, anche se somministrati localmente,
vengono assorbiti dal peritoneo e dai tessuti cruentati e
hanno una notevole tossicità anche acuta.
In particolare il Cisplatino può causare insufficienza renale e mielosoppressione, laDoxorubicina è anche dotata di notevole cardiotossicità e ,seppur raramente, si sono osservate insufficienze cardiache acute per forti dosi di questo farmaco. La Mitomicina può causare disturbi della coagulazione e trombocitopenie. Occorre tenere presente che la azione tossica, in particolare sui reni può essere esacerbata anche da un ridotto flusso ematico renale ed una maggiore concentrazione del farmaco per riduzione della volemia; per tale motivo si impongono una iper idratazione ed un sostegno emodinamico che consenta di mantenere un elevato flusso ematico renale e urinario intra e peri operatorio (400 ml/h); a tale scopo si somministrano anche furosemide o mannitolo. Questa lunga premessa ci serve a meglio comprendere quali siano le problematiche da affrontare al termine dell'intervento e all’ingresso del paziente in terapia intensiva: 1. una volemia che può essere, notevolmente aumentata e con una notevole imbibizione tessutale e polmonare o al contrario isufficiente e con una ridotta perfusione periferica; 2. l'ossigenazione può essere alterata e il trasporto di ossigeno ridotto, per l’effetto, a volte combinato, di una riduzione del livello di emoglobina e di una gittata cardiaca insufficiente. Ne può derivare ipoossigenazione dei teritori sopratutto splancnici; 3. si può avere una coagulopatia da consumo e/o una CID o si possono avere gravi sanguinamenti a causa dell’ipotermia, ecc. Questo capitolo non può essere certamente esaustivo nell’affrontare tutte le possibili problematiche che possono presentarsi nel post operatorio di questi interventi chirurgici, ma si propone di fornire a chi affronta queste complesse patologie, un orientamento di base relativamente alle tecniche di supporto e alle terapie utilizzate nella gestione clinica in Rianimazione. Saranno affrontati in particolare i seguenti aspetti: Emodinamica( volemia e funzioinalità cardiaca ) Respirazione Alterazioni della coagulazione Trattamento antibiotico Nutrizione Analgesia Il primo punto da affrontare è ovviamente la monitorizzazione perchè la rapida identificazione e comprensione delle problematiche cliniche in rianimazione rappresenta il presupposto fondamentale per poterle risolvere efficacemente. MONITORIZZAZIONE Il nostro standard prevede per tutti i pazienti che entrano nel centro di rianimazione una monotorizzazione dell’ECG una pressione arteriosa invasiva , la presione venosa centrale ,SPO2 , EtCO2, la diuresi oraria la temperatura corporea con sonda vescicale. È’ un livello di monitorizzazione basale sufficente a consentire una adeguata valutazione dello stato clinico di un paziente sufficentemente stabile ed inoltre è sostanzialmente analogo allo standard di monitoraggio utilizzato durante l’intervento chirurgico. In casi selezionati, in rapporto a particolari difficoltà di stabilizzazione emodinamica o nei pazienti con patologie polmonari o cardiache preesistenti, si posiziona per le prime 24 ore un catetere di SWAN-GANZ che ci consente di avere un quadro più completo e di valutare: gittata cardiaca, resistenze vascolari periferiche e polmonari, pressione dell’arteria polmonare, pressione di incuneamento, SVO2 e, DO2 e conseguentemente di avere una idea più precisa della volemia , della funzionalità cardiaca , del circolo sistemico polmonare, e della adeguatezza del trasporto di ossigeno ai tessuti. Un altra metodica di indubbia efficacia e con una invasività minore (che pero’ noi non utilizziamo) è il monitoraggio emodinamico con apparecchi tipo PICCO, che consente di ottenere una valutazione della pressione arteriosa, della gittata cadriaca,delle resistenze vascolari periferiche e del contenuto di acqua polmonare con la cateterizzazione dall arteia femorale. Dove è possibile, nei pazienti non gastrectomizzati la tonometria gastrica ci consente di ottenere dati attendibili e molto utili sulla perfusione e ossigenazione splancnica rappresentando una ottima guida al riempimento del circolo ed alla utilizzazione delle amine vasoattive. L’analisi del tratto ST, che viene inserita per tutti i pazienti nel montiraggio di base, risulta perticolarmente utile nei pazienti con patologie ischemiche. I pazienti provenienti dalla camera operatoria dopo un
intervento durato molte ore e generalmente
caratterizzato da perdite ematiche molto ingenti,
dispersione di calore e rapido riscaldamento,
somminstazione di sostanze chemioterapiche ed
infusioni massive di cristalloidi, colloidi, emoderivati ,
presentano una instabilità emodinamica spesso causata
da alterazioni della volemia e della contrattilità
miocardica.
Volemia:
una detrminazione corretta della volemia potrebbe essere possibile solo con teniche della misurazione della diluizione con verde indocianina, il che non sempre è fattibile. Una misurazione indiretta ma approssimativa è possibile ricavarla misurando gli efetti della volemia sul circolo con il monitoraggio emdinamico eseguito con catetere di Swan Ganz. Si possono verificare tre situazioni . 1) Normovolemia con pressione di incuneamento (WEDGE PRESSURE-PWP) normale, resistenze vascolari sistemiche (RVS) e resistenze vasolari polmonari (RVP) nei limiti e con gittata cardiaca (Cardiac Output) normale. 2) Ipovolemia con tachicardia PWP,CO basse e RVS elevate per effetto della vasocostrizione cutanea e splancnica 3) Ipervolemia con PWP elevate CO e PAP elevate e conseguente ristagno di acqua extravascolare polmonare e conseguente riduzione della SVO2.e PaO2. Contrattilità miocardica
Dobbiamo sempre tenere presente l’influenza della
contattilità del miocardio in caso di instabilitèà
emodinamica: per entrambe le situazione di iper o
ipovolemia potremo avere una gittata cadiaca più o meno
diversa da quella prevedibile in rapporto alla cinesi
cardiaca preoperatoria , a causa dell’effetto miocardio-
depressivo dell’ ipotermia , e dell’’uso dei chemioterapici
cardiotossici.
Il trattamento della instabilità emodinamica è
evidentemente dettato dalle risultanze dei rilevamenti
efettuati in rapporto al tipo di monitoraggio disponibile.
I fondamentali presidi sono rappresentati da fluido terapia
(colloidi, cristalloidi ed emoderivati) e amine vasoattive; a
questi va sempre aggiunto il riscaldamento dei liquidi del
paziente se vi è ipotermia .
Amine
La Dobutamina viene quasi sempre somministrata, anche a
bassi dosaggi, perchè migliora la performace cardiaca, sia
del ventricolo dx riducendo la stasi polmonare , sia del
ventricolo sx, aumentando la quantità di ossigeno fornita
ai tessuti periferici (DO2); inoltre la dobutamina favorisce
la perfusione dei tessuti periferici e sopratutto quella
renale .
Generalmente non si usa la dopamina per i suoi noti
effetti dose dipendenti sulla perfusione splanchica.
In caso di difficoltoso controllo della pressione, per
mantenere una adeguata perfusione degli organi vitali, in
associazione con la dobutamina, si somministra la
noradrenalina, la cui infusione deve però essere limitata al
più breve lasso temporale possibile; non appena i
parametri emodinamici pressori saranno più stabili, la
noradrenalina andrà ridotta progressivamente mantenendo
la sola infusione di dobutamina.
In casi di instabilità estrema si ricorre alla adrenalina che
ha una potente azione beta e alfa adrenergica, ma a cui si
paga un prezzo elevato nella perfusione degli organi ( rene
, fegato, intestino,miocardio). L’infusione di adrenalina
può associarsi ad aritmie minacciose e a ipoperfusione del
microcircolo e va pertanto limitata a situazioni complesse
dove gli altri farmaci si siano dimostrati inefficaci. Non
appena possibile l’adrenalina deve essere sostituita con
noradrenalina e dobutamina e infine solo dobutamina.
Fluidoterapia
Dosi generose di colloidi (Voluven) e cristalloidi (Ringer
ed elettrolitiche), correzione della calcemia e magnesemia,
plasma fresco congelato in caso di ipovolemia associata a
disturbi della coagulazione da consumo e diluizione dei
fattori stabili e labili , sono in genere necessarie. Questi
interventi terapeutici comportano però in previsione la
necessità di dover rimuovere l’eccesso di liquidi
accumulatosi in sede extra vascolare, polmonare in
particolar modo, non appena ottenuta
la stabiltà del circolo A questo fine si possono urilizzare
techiche diuresi forzata provvedendo ad una correzione
degli squilibri idroelettrolitici eventualmente determinatisi
(ipersodiemia ed ipokaliemia, ipomagnesiemia). Noi
ricorriamo molto frequentemente a metodiche di
ultafiltrazione continua (CVVH) , in particolare nei casi di
alterata distribuzione dei fluidi con incremento del volume
extracellulare. Queste situazioni si verificano
frequentemente in corso di shock settico o emoragico, ma
non sono infrequenti dopo interventi che comportano
l’utilizzo di sostanze che possono attivare una cascata
infiammatoria simile a quella della sepsi. Il vantaggio
delle tecniche di rimozione extracorporea dei fluidi è
quello di poterne modulare la sottrazione limitando
l’impatto sull’emodinamica, al fine di non alterare la
perfusione renale ed il flusso urinario.
RESPIRAZIONE
Nelle prime ore dopo l’intervento il paziente viene
mantenuto in ventilazione controllata con tecniche
possibilmente a controllo pressorio per ridurre al minimo
il barotrauma (PCV,BPAP,IPPV con autoflow) e con una
adeguata PEEP per mantenere un reclutamento alveolare massimale; successivamente, in relazione allo stato clinico si può passare in modalità di ventilazione assistita (PSV). Gli scambi gassosi a livello polmonare sono evidentemente molto influenzati dal contenuto di acqua polmonare che può essere aumentato per un eccesso di correzione della volemia o come conseguenza di un periodo di instabilità emodinamica. In questi casi sarà fortemente alterata la diffusione alveolare dell’ossigeno con una bassa PaO2; un indice semplice di questa diffusione alveolare e data dal P/F che è il rapporto tra PaO2 e FiO2 (concentrazione di ossigeno somministrato) il cui valore normale è maggiore di 4OO. Il P/F oltre che dalla inbibizione è influenzato da uno shunt intrapolmonare dovuto ad atelettasie da ostruzione bronchiale o versamenti pleurici che si potranno evidenziare con una radiogafia o una TAC. Per garantire un adeguato trasporto di ossigeno ai tessuti è necessario mantenere un buon contenuto di emoglobina nel sangue ed incrementare la gittata cardiaca e la perfusione periferica mantenendo una condizione moderatamente iperdinamica del circolo con l’uso della dobutamina. Le coseguenze di una ipossiemia e di una ipoperfusione tessutale sono l’instaurarsi di una condizione di sofferenza che può, a causa dell’attivazione di mediatori quali le citokine TNF ecc, indurre una insufficenza multiorganica (MOF) o anche scatenare una CID. ALTERAZIONI DELLA COAGULAZIONE La coagulopatia da consumo, in interventi così demolitivi e con estese aree cruentate e quindi con perdite ematiche copiose, rappresenta una conseguenza dell’atto chirungico e non una vera e propria complicanza. Un adeguto ripristino intra e perioperatorio dei fattori della coagulazione mediante l’uso di plasma fresco congelato ed eventualmente piastrine è generalmente necessario in questi interventi. Quale complicanza possibile, in rapporto a diversi fatori scatenanti quali possono essere il traumatismo esteso con lisi di cellule neoplastiche, l’ipoperfusione in seguto a stato di shock emorragico, la chemioterapia ipertermica, si può avere una coagulazioe intravascolare disseminata che sarà diagnosticata in laboratorio da un incremento degli FDP , caduta della ATIII con cosumo di tuti i fattori della coagulazione in particola modo di fibinogeno e piastrine, cui consegue l’allungamento dei tempi di coagulazione fino all’ incoagulabilità del sangue. Clinicamente si avranno emoragie spontanee di tutti i tessuti lesi ,a partire dalle mucose, potrà comparire ematuria ed infine si verificheranno fenomeni microembolici che potranno manifestrsi anche a livello cutaneo. In questi casi di CID conclamata è fondamentale, oltre a rimuovere le cause scatenanti, ripristinare livelli adeguati (circa 80%) della Antitrombina III (ATIII),che è il principale fattore che regola l’attivazione della coagulazione intravascolare; in alternativa occorrerebbe somminstrare eparina, ma questa intervento terapeutico, un tempo raccomandato, si associa molto spesso ad un incremento del sanguinamento stesso. La correzione dei livelli di ATIII si ottiene in parte mediante l’uso di plasma fresco congelato (che rimane il miglior trattamento in quanto fornisce tutti i fattori della coagulazione) e/o con l’uso di fattore concentrato che è di indubbia efficacia, ma ha dei costi piuttosto elevati . Un trattamento con ATIII deve essere preventivato per questo tipo di intervento ed in caso di abbassamento dei livelli di ATIII al di sotto dell’ 80% ne è indicata la correzione a scopo preventivo, anche in assenza di una CID conclamata. Il monitoraggio della coagulazione compresa ATIII dovrà essere mantenuto per le prime 24-48 ore TRATTAMENTO ANTIBIOTICO La strategia raccomandata è quella di limitare il più possibile l’utilizzo “protratto” degli antibiotici a scopo profilattico. Per interventi chirurgici “puliti” ci si limita ad una somministrazione profilattica pre e intraoperatoria di antibiotico che sarà rappresentato, nel caso di una peritonectomia, senza apertura di anse intestinali o del colon, ed in cosiderazione del tipo di paziente , da una cefalosporina di I o II generazione ( cefoxitina o cefotetan 2 gr ev) o da una ampicillina con associazione di un inibitore delle beta – lattamasi (per es. augmentin 2.2 gr ev); la dose iniziale , in rapporto alla durata e ad eventuali cospicue perdite ematiche, viene ripetuta nel corso dell’intervento. In caso di associazione con resezioni intestinali e del colon in particolare, ed in presenza di contaminazioni del peritoneo in corso di intervento e per pazienti che non siano degenti da lungo tempo in ospedale e che non abbiano avuto lunghi trattamenti antibiotici, sarà necessaria comunque una antibiotico terapia vera e propria a base di associazione tra penicillina/sulbactam (2.2 gr x 3) e metronidrazolo ( 500 mg x 3) o con una ureidopennicillina ( piperacillina tazobactam 2,2 gr x 4). Nel decorso post operatorio, a cominciare dall’ingresso in reparto i nostri Pazienti sono tutti sottoposti a colture di sorveglianza bi settimanali ( tampone nasale e faringeo, uricolture e brocoaspirato). Alla sorveglianza, quando indicato, si associano prelievi mirati per sospetta infezione. I Pazienti sottoposti a peritonectomia e chemioterapia ipertermica intraopertoria , necessitano di particolare attenzione nel rilevare segni iniziali di infezione sia intra addominale che sistemica in quanto presentano una compromissione locale delle barriere difensive e una contemporanea alterazione delle difese immunitarie globali. L’intervento di peritonectomia comporta una elevata possibilità di filtrazione e transmigrazione batterica dall’intestino così gravemente traumatizzato. E’ pertanto necessario eseguire prelievi quotidiani dai drenaggi addominali ed eventualmente emocolture, soprattutto se il paziente presenta febbre o segni di insufficienza d’organo. In caso di sospetta infezione insorta in terapia intensiva, sarà pertanto necessaria una antibiotico terapia che dovrà coprire gram positivi e negativi, anaerobi ed, eventualmente, miceti in rapporto alla durata della degenza ospedaliera, alla precedente somministrazione di antibiotici e cortisonici e alle caratteristiche di antibioticoresistenza dei ceppi batterici del Reparto. A questo scopo, in pazienti con una lunga degenza ospedaliera, e pregressi trattamenti antibiotici, verosimilmente già colonizzati da ceppi multiresistenti, somministriamo un carbapenemico (Meropenem 1 gr x 3 o Imipenem 500 mg x 4 ) per la copertura dei gram negativi e degli anaerobi, un glipopeptide ( vancocina in infusione continua ) per i gram positivi, salvo poi orientare la terapia in base alle risultanze dell colture esegite e degli antibiogrammi. L’utilizzo di un antimicotico va riservato ai pazienti neutropenici o con precedenti isolamenti di fungi. NUTRIZIONE La migliore nutrizione artificiale è, a tutti gli effetti, quella enterale e per quanto possibile, e comunque il più precocemete possibile, si cerca di somministrare questo tipo di nutrizione talvolta anche nei gastro resecati mediante un sondino digiunale posizionato intaoperatoriamente . L’apporto calorico, in questi casi, sarà ovviamente limitato e avrà il significato di ridurre gli effetti del digiuno sul trofismo della mucosa intestinale. In caso di resezione intestinale multipla la somministrazione della nutrizione enterale sarà impossibile e a partire dalla seconda giornata si somministrerà una nutrizione parenterale totale con apporto calorico incrementato progressivamente fino a 2000 2300 calorie al giorno. Il più precocemente possibile si cercherà di instaurare una nutrizione enterale, iniziando con acqua e progressiviamente incrementando volume e calorie; la somministrazione avviene in pompa peristaltica iniziando con pochi millilitri ora ( 20-30) e non tralasciando periodi di riposo, per un numero di ore di somministrazione non superiore a 20. A volte si usano, quale procinetici, eritromicina per sondino (500mg x2 ) o prostigmina (0,5mgx3) intamuscolare. ANALGESIA Il posizionamento di un catetere epidurale alto (specialmente in presenza di una laparotomia con tagli sottocostali ed in pazienti con BPCO) con infusione continua di anestetico locale e morfinici costituirebbe una valida misura atta a ridurre il dolore postoperatorio e facilitare la ripresa del respiro spontaneo . Il problema principale è rappresentato da un possibile disturbo della coagulazione nel postoperatorio, che può aumentare il rischio di sviluppo di un ematoma da sanguinamento spontaneo nella sede dell’inserzione del catetere; questa possibile complicamza rende il posizionamento di una perdurale continua discretamente richioso e pertanto questa procedura va riservata a casi selezionati . I pazienti intubati e sottoposti a ventilazione hanno normalmente una buona copertura antalgica con la somministrazione di fentanyl o fentatienil .Quando si procede alla estubazione la terapia antalgica viene modificata e la sedazione sostituita con una associazione di morfina (che verrà progressivamente ridotta per non inibire la peristalsi) e ketoralac. TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE
INFETTIVE
Linee guida in caso di infezione postoperatoria
In caso di febbre o in presenza di altri segni clinico- strumentali di infezione, prima di iniziare una terapia 1. emocolture: 3 set (1 set equivale ad 1 flacone per germi aerobi ed 1 flacone per germi anaerobi) da vena periferica (non da agocannula!), effettuati a distanza di 30-60 minuti l’uno dall’altro, ed eventualmente altri 2 o 3 set nell’arco delle successive 24-36 ore (il prelievo dovrebbe essere eseguito nell’ora precedente l’atteso rialzo termico Se è presente CVC: 3 set di emocolture sia da sangue periferico sia da CVC. Se il CVC viene rimosso, inviare in laboratorio la punta per coltura 2. urinocoltura ( ed esame chimico-fisico delle urine) 3. esame colturale su campioni di materiale prelevato da ferita chirurgica, drenaggi, tratto fistoloso o in corso di reintervento/posizionamento di drenaggio chirurgico (il prelievo mediante tampone deve essere limitato ai casi in cui non è possibile prelevare il materiale con siringa sterile) 4. esame colturale su campioni di materiale da broncoaspirato profondo, in paziente portatore di tracheotomia, o da lavaggio broncoalveolare (nel caso di evidenza radiologica di addensamento Tutti i prelievi devono essere effettuati in condizioni di asepsi ed inviati immediatamente in laboratorio indicando il materiale prelevato e la sede del prelievo. Se il paziente è già in trattamento antibiotico: se le
condizioni cliniche lo permettono, è consigliabile eseguire i prelievi dei campioni biologici dopo una sospensione di terapia di almeno 48 ore; altrimenti effettuare il prelievo prima della successiva somministrazione del farmaco. Terapia antibiotica empirica
In caso di infezione endoaddominale postoperatoria (da contaminazione operatoria del peritoneo, deiscenza anastomotica, perforazione di un viscere, ecc.), comunemente polimicrobica (compresi i funghi), e con alto rischio di microrganismi resistenti, la terapia empirica iniziale deve essere ad ampio spettro: carbapenemici + L’inizio di trattamento empirico antifungino deve essere
considerato nei pazienti con segni clinici di infezione che soddisfino almeno uno dei seguenti criteri: 1. colonizzazione multipla da Candida spp. (2 o più In questi pazienti la colonizzazione da Candida dovrebbe essere monitorizzata periodicamente (2 o 3 volte a settimana) attraverso la raccolta contemporanea di campioni da più siti corporei (vie aeree superiori, drenaggi, ferita chirurgica, urine, succo gastrico, cute circostante l’inserzione di catetere vascolare, feci); 2. coesistenza di più fattori di rischio per candidosi invasiva: terapia antibatterica prolungata, immunodepressione o neutropenia, nutrizione parenterale totale, presenza di catetere venoso centrale, intervento con apertura dell’intestino, perforazione intestinale/deiscenza anastomotica, prolungata permanenza presso Unità di Terapia 3. esclusione di altre cause di febbre (soprattutto mancata risposta a terapia antibiotica ad ampio I pazienti con isolamento di Candida spp. dal sangue (anche 1 sola emocoltura) dovrebbero sempre essere trattati. Inoltre, nei pazienti con candidemia, un eventuale catetere venoso centrale dovrebbe essere rimosso e La terapia antifungina si basa su fluconazolo 400 mg/die e.v. per 2-3 settimane. E’ sempre opportuno acquisire la diagnosi di specie e l’eventuale antimicogramma per la scelta mirata dell’antifungino, considerando che alcune specie di Candida sono resistenti agli azolici. In questi casi devono essere usate o l’Amfotericina B o le In caso di isolamento di enterococchi vancomicino- resistenti, sostituire la vancomicina con linezolid o quinupristin/dalfopristin o con ampicillina/sulbactam, se Il trattamento antibiotico empirico deve essere continuato fino a risoluzione dei segni clinici di infezione, ossia normalizzazione della temperatura corporea, della conta dei globuli bianchi e della funzione gastrointestinale. E’ sempre opportuna la consulenza infettivologica. Se presente focolaio infettivo endoaddominale suscettibile di terapia chirurgica, l’intervento deve essere eseguito il

Source: http://www.alfredogarofalo.it/wp-content/uploads/2012/11/capitolo32.pdf

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5.3 Atemschutzmasken Ob Atemschutzmasken vor Infektionen allgemein wirksam schützen, ist nicht eindeutig bewiesen, da keine unumstrittenen Wirksamkeitstests vorliegen, die mit lebenden oder abgetöteten Keimen durchgeführt worden wären. Es gibt jedoch – aus der Erfahrung mit SARS – Hinweise dafür, dass die Übertragung von Viren durch Atemschutzmasken eingeschränkt werden kann. Bei

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