RASSEGNA STAMPA FALCRI 17 FEBBRAIO 2010 Il veto della Germania alla nomina di Draghi al vertice della Bce. Chi guida l’economia dell’Europa? DI ALBERTO TOSCANO 14-02-2010 Una battuta s'aggira per la Francia dopo l'incontro di ieri all'Eliseo tra il presidente Nicolas Sarkozy e il primo ministro greco George Papandreou: "Chi dei due ha chiesto aiuto all'altro?". È un modo come un altro per ironizzare sul peggioramento dei conti pubblici transalpini, che nell'arco degli ultimi due decenni è stato impressionante. Basti dire che, al momento di stabilire nel 1991 i parametri per la nascita della moneta unica, Francia e Germania imposero agli altri di adeguarsi ai loro standard: il 3 per cento nel rapporto deficit/Pil e il 60 per cento nel rapporto debito/Pil. Oggi il deficit e il debito francesi viaggiano rispettivamente dalle parti dell'8 e dell'80 per cento del Pil. Il deficit della finanza pubblica transalpina è passato tra la fine del 2008 e la fine del 2009 dal 3,4 al 7,9 per cento del Pil e dovrebbe aggravarsi ancora quest'anno.
Il fatto che anche un Paese come la Francia (per non parlare delle gravi crisi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) stia sgarrando in modo tanto evidente dalle regole dell'ortodossia finanziaria "alla tedesca", spinge la cancelliera Angela Merkel a moltiplicare la vigilanza. Non solo la Germania è di gran lunga la più importante economia della zona euro, ma essa si considera a giusto titolo come il principale "pagatore" dell'Unione: se c'è un rischio di collasso, tutti pensano di mungere la ben pasciuta mucca tedesca. Come se tutto cio' non bastasse, la Germania è il Paese che ha compiuto il maggior sacrificio (in termini di identità) nell'accettare il passaggio all'euro, che le è stato praticamente imposto per ragioni politiche dall'allora presidente francese François Mitterrand: all'indomani del crollo del Muro di Berlino si trattava di ancorare saldamente la futura Germania riunificata alla dinamica dell'integrazione europea, impedendole ogni tentazione isolazionista. Rinunciare al marco non è stato come rinunciare alla lira.
La Germania è stata al gioco, ma ha imposto ai partners ben precise garanzie in termini di rigore finanziario. Adesso, sull'onda della crisi mondiale, quelle garanzie rischiano (agli occhi di Berlino) di essere sottovalutate e persino di diventare carta straccia. Non c'è solo la quasi bancarotta di Atene, accompagnata dall'asfissia finanziaria di Lisbona e Madrid. Ci sono tanti altri punti interrogativi, tra cui l'incapacità di Sarkozy a realizzare le riforme "risanatrici" da lui stesso
ripetutamente promesse (adesso promette quella delle pensioni e vedremo che cosa accadrà). Ci sono poi i forti dubbi sulla finanza e in particolare sul debito dell'Italia. In questo contesto nessuno puo' stupirsi se la cancelliera e il suo governo si preparano a battersi per avere un tedesco al timone della Banca centrale europea (Bce), dopo i mandati dell'olandese Wim Duisenberg e del francese Jean-Claude Trichet.
Si puo' obiettare che i tedeschi hanno già ottenuto la sede della Bce a Francoforte, ma ci si esporrebbe a una facile contro-obiezione: le principali istituzioni politiche comunitarie hanno sede a Bruxelles e malgrado cio' il presidente dell'Unione è il belga Herman Van Rompuy. Il problema è di sostanza e non di forma. Berlino vuole tenere sotto controllo in tutti i modi la partita che si svolge dietro le quinte dell'euro. Se il presidente della Bce è tedesco, i sonni dei tedeschi saranno più tranquilli.
Ciò non significa affatto sfiducia in altri possibili candidati (siano essi Mario Draghi o altri) alla cabina di pilotaggio dell'Eurotower. Cio significa semplicemente che il momento è molto particolare e che Berlino è ipersensibile sul terreno della moneta unica.
Bankitalia. La ricetta del governatore per l’economia italiana. Un appello al coraggio DI EMILIO MANUELLI 14-02-2010 E' un Paese che resiste alla crisi in condizioni di estrema debolezza, un Paese che sta cercando di uscirne, ma la cui economia cresce troppo poco per assicura re ai suoi cittadini una stabilità dignitosa in futuro. Nel suo intervento a Napoli, nell'annuale appuntamento con gli operatori del mercato finanziario, il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha parlato da politico, da uomo delle istituzioni che utilizza con sapienza la sua competenza economica per disegnare il presente dell'Italia, indivuandone le cause del malessere che sta vivendo.
Nel suo discorso non sono certo mancati i riferimenti più diretti al mercato finanziario, non sono mancati i consueti richiami al sistema bancario, di cui ha comunque riconosciuto la solidità che gli ha permesso di uscire indenne dalla tempesta della recesssione mondiale. Ma sono i riferimenti alla situazione economica generale che connotano l'intervento di Draghi e ne fanno un apprezzato ritratto dell'attuale realtà italiana.
L'analisi del Governatore, sempre più autorevole candidato alla prossima presidenza della Banca centrale europea, è di grande interesse quando, parlando
della critica congiuntura della Grecia, sembra rivolgersi all'Italia e a chi la governa. Fuori dal testo scritto ha ricordato: "non ci dimentichiamo che negli anni ‘90 eravamo in condizioni più drammatiche".
Allarma lo stato dei conti pubblici di certi paesi (fra cui, ovviamente, il nostro), nei prossimi anni la situazione sarà aggravata dall'invecchiamento della popolazione.
Un'efficace azione di risanamento della finanza pubblica non può prescindere da tutta una serie di riforme strutturali che la nuova realtà soci a le sta imponendo come necessarie. Per un Paese come il nostro, ai primi posti in Europa per il livello del debito pubblico, non c'è tempo da perdere.
Forte è la preoccupazione della Banca d'Italia per i livelli occupazionali, tema al centro di una recente polemica statistica con il Governo. Draghi ci è tornato sopra per sottolineare che è elevata e in crescita la quota di popolazione "al momento forzatamente inoperosa". E sono già 600 mila i posti di lavoro persi dal luglio del 2008. Se il quadro occupazionale non inverte la sua rotta la domanda rimane debole con ripercussioni pesanti sui consumi e quindi sul prodotto interno lordo, termometro della ricchezza del Paese, che i dati Istat di due giorni fa danno in caduta libera del 5%, il risultato peggiore degli ultimi 40 anni.
Usciremo dalla crisi, prevede il Governatore, deboli come ci siamo entrati, con una crescita minima, fra gli ultimi in Europa. Eppure le condizioni per darsi coraggio non mancano: i tassi di interesse sono e rimarranno bassi, l'inflazione non è prevista in risalita. Ma occorre aiutarsi un po', determinare un contesto favorevole in cui le imprese tornino ad investire.
Si sente parlare solo di incentivi e poco di opere pubbliche e agevolazioni consistenti per chi vuole tornare a produrre. Il Governatore ha delineato il contesto e suggerito strategie, il Governo deve decidere gli interventi. Tremonti: «Nei conti nessun buco e sulle pensioni riforma già fatta»
«Non esiste alcun tipo di buco, c'è solo un fatto di contabilizzazione
assolutamente noto». Così il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha
commentato le voci di un possibile buco da 9 miliardi. Da Bruxelles, al termine dei
lavori dell'Ecofin, Tremonti ha anche parlato di pensioni, correggendo la rotta
rispetto a quanto detto dal premier Berlusconi solo pochi giorni fa: «Molti in
Europa hanno problemi con le pensioni, ma da noi non è un problema. Noi la
La candidatura di Draghi alla Bce. A proposito della candidatura di Draghi al
vertice della Bce il titolare dell'Economia ha assicurato che «quando tra venti mesi
si porrà la questione l'Italia ha e avrà un ottimo candidato»
La grecia. Tremonti ha fatto anche sapere che l'Italia ha un'esposizione verso la Dalle Pmi nasce Banca Medesia Nel comitato promotore Cimmino, Maddaloni e Scalella. Giordano revisore Le Pmi dànno vita a Banca Medesia, un istituto che avrà come area di business l'asse Roma-Napoli. Prende il via, infatti, dopo il sì della Consob, il periodo di sottoscrizione delle azioni. Il comitato promotore è presieduto dall'immobiliarista romano Eduardo Salvador Safdie, affiancato in veste di vice dall'imprenditore campano Giancarlo Cimmino, fondatore di Original Marines assieme al fratello Luciano e attualmente attivo nel campo immobiliare. L'obiettivo è quello di raggiungere un capitale di 15-20 milioni entro il prossimo 15 ottobre. L'avvio dell'operatività è previsto per il 2012 con l'apertura del primo sportello romano. Altre quattro filiali saranno inaugurate entro il 2015, di cui una a Napoli e una a Caserta. Nel direttivo siede Dario Scalella, presidente del consorzio Chain. Tra i promotori c'è anche Maurizio Maddaloni, presidente di Confcommercio Campania. Il commercialista napoletano Roberto Giordano è uno dei revisori. sergio governale Un nuovo istituto di credito promosso da imprenditori napoletani e romani:?è
Banca Medesia, che opererà sull'asse di business Roma-Napoli. Ne dà notizia il
comitato promotore, che ha appena ricevuto il via libera della Consob alla
pubblicazione del prospetto informativo.
L'offerta di azioni è partita ieri e terminerà il prossimo 15 ottobre. L'obiettivo dei
promotori, guidati dall'immobiliarista romano Eduardo Salvador Safdie in veste di
presidente e dell'imprenditore campano Giancarlo Cimmino in qualità di vice
presidente, è quello di raggiungere un capitale di 15-20 milioni di euro. Un
gruppo di imprenditori, professionisti e investitori il 30 giugno scorso dà vita al
comitato promotore. Tra questi, oltre a Cimmino, Dario Scalella, presidente del
consorzio aeronautico Chain, che siede nel consiglio direttivo, Maurizio Maddaloni,
vice presidente nazionale di Confcommercio e numero uno regionale della
confederazione, e Roberto Giordano, commercialista napoletano membro del
Il progetto nasce al fine di creare una banca nuova dedicata alle Pmi, ai
professionisti e ai privati ed è ispirata, si legge in una nota "ai valori della
semplicità, sincerità e sicurezza". Il nome della banca richiama, nella radice Med,
il Mediterraneo e rimanda al mondo classico e alla tradizione, "due pilastri solidi
per affrontare al meglio gli obiettivi che si pone per il futuro", si legge ancora nel
Il comitato ha sede legale a Roma e sede secondaria in via Cuma 28 a Napoli.
L'avvio delle attività operative è in programma per gennaio 2012, quando sarà
inaugurato il primo sportello nella capitale. Entro il 2015 apriranno i battenti altre
quattro filiali "in aree a elevata intensità di terziario" e in particolare nelle
province di Latina, Frosinone, Napoli e Caserta.
"Il territorio - spiega Cimmino, fondatore di Original Marines assieme al fratello
Luciano e attualmente attivo in campo immobiliare a Roma - lamenta un'elevata
distanza tra mondo bancario ed esigenze concrete di credito, oltre che di
attenzione alle idee imprenditoriali locali. Il progetto nasce dunque per colmare
questo gap. Fondamentale in questo senso è la presenza nel comitato promotore
di esperienze imprenditoriali e professionali radicate nel territorio e
contemporaneamente di caratura internazionale, che sono in grado di dare al
progetto stesso aderenza alle esigenze del mondo imprenditoriale locale senza
dimenticare i privati e le famiglie. Medesia punterà a un'offerta di servizi calibrata
sulle singole esigenze e capace di valorizzare idee e progetti imprenditoriali,
valutandone qualità e sostenibilità. La crescita di un territorio, ne sono convinto,
passa anche attraverso la reale possibilità che questo offre in termini di accesso
al credito. Interpretare le esigenze del territorio - conclude l'imprenditore
campano - è il primo passo per offrire un servizio di qualità e affidabilità". Gli organi sociali
Tra i promotori tre imprenditori campani (Cimmino, Maddaloni e Scalella) e un
I conti di Barclays sbaragliano le stime degli analisti: nel 2009 profitti più che raddoppiati
Londra torna ad essere per un giorno ombelico del mondo finanziario sull'onda
della trimestrale annunciata da Barclays. La terza banca britannica ha alzato il
velo questa mattina sui conti 2009 e ha sorpreso gli analisti di mercato. L'istituto
ha, infatti, chiuso l'esercizio passato con profitti più che raddoppiati, grazie al
contributo dell'investiment banking.
Nel dettaglio Barclays ha riportato un utile netto di 9,39 miliardi di dollari. Il dato
si confronta con 4,38 miliardi di sterline riportate nell'esercizio precedente ed è
decisamente superiore alle stime degli analisti che stimavano utili per 8,78
miliardi di sterline. Il risultato, anche se influenzato da un profitto di 6,3 miliardi
dalla vendita della divisione asset management, riflette il netto rialzo dell'utile
corrente, attestatosi sui 5,6 miliardi contro gli 1,6 miliardi del 2008.
E non è tutto. Barclays, malgrado un aumento del 49% degli accantonamenti per
crediti dubbi, ha deciso di infondere ottimismo con la decisione di mettere subito
in pagamento dividendi per 1,5 miliardi e altri 1,2 miliardi in seguito. "Abbiamo
rafforzato la nostra posizione di capitale", ha spiegato l'amministratore delegato
di Barclays, John Varley. "Di conseguenza - ha proseguito - siamo preparati ad
affrontare qualsiasi situazione di nuova debolezza economica e ci sentiamo in
grado di continuare a portare avanti la nostra strategia". Varley, insieme al
presidente di Barclays, ha deciso di rinunciare ai bonus per il secondo anno.
Una indicazione gradita al mercato secondo cui i conti 2009 di Barclays
rappresentano una svolta. "Questa è la prima volta in tre anni che abbiamo avuto
una notizia davvero positiva da una banca inglese", ha commentato Ralph Silva,
analista di Silva Research Network, specializzato nel settore dei servizi finanziari.
Dall'altra parte basta vedere il grafico del titolo Barclays che ha perso il 15% negli
ultimi tre mesi, durante i quali il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha
chiesto alle banche di attuare sforzi per migliorare la loro posizione di capitale,
per capire che il sentiment sul settore era depresso o comunque attendista.
Jonathan Pierce, analista del Credit Suisse, in una nota inviata ai clienti circa un
mese fa azzardava che Barclays avrebbe dovuto mettere un tetto al suo
dividendo e vendere metà della quota in BlackRock per chiudere il gap da 17
miliardi di sterline nel suo capitale entro la fine del 2012. Ipotesi che restano per
ora senza una risposta perchè quel che conta oggi sono i numeri. A metà
mattinata il titolo Barclays sale di oltre il 7% a quota 294,5 pence, dopo aver
toccato un massimo intraday sopra la soglia dei 300 pence. www.milanofinanza.it
Abi vede rischi per patrimonio banche da Basilea, agire su fisco
Le banche italiane hanno evitato una situazione di stretta di credito (credit
crunch) nella crisi, sopportando un aumento significativo delle sofferenze e
mitigando l'incremento della richiosità con un fondamentale contributo, pur se
indiretto, al conto che la crisi ha imposto al paese.
E' quanto ha affermato oggi il presidente dell'Abi, Corrado Faissola, nel corso
dell'audizione alla Commissione Finanze della Camera, aggiungendo che il sistema
bancario italiano, in vista dell'introduzione delle nuove regole di Basilea, ''non ha
tirato i remi in banca nell'attesa dei cambiamenti, ma ha fornito credito alle
attività produttive e ha posto in essere molte iniziative per fare fronte alle
situazioni di maggiori disagio di imprese e famiglie''.
La revisione delle regole di Basilea, a detta di Faissola, rischia però di rendere più
difficile il processo di ripatrimonializzazione delle banche, auspicato anche dalla
Banca d'Italia, con effetti negativi sui finanziamenti all'economia reale e sui costi
alla clientela. Per questo il presidente dell'Abi è tornato a chiedere la modifica del
trattamento fiscale delle perdite su crediti che penalizza gli istituti italiani rispetto
Inoltre nelle nuove regole di Basilea occorre evitare di penalizzare strumenti di
capitale tipici della realtà italiana come le azioni di risparmio o privilegiate e
''poter computare ai fini del patrimonio di vigilanza le poste relative alla fiscalità
anticipata, in larga parte generata dalle peculiarità del sistema fiscale'' (come
quelle originate dalla svalutazione dei crediti).
Dunque lo studio di impatto sulle banche delle nuove regole dovrà essere
accompagnato ''anche a simulazioni'' degli effetti sull'economia reale. "Sarebbe
utile e necessario cogliere questa fase per segnare alcune innovazioni legislative
prima fra tutte il completamento delle modifiche alla legge fallimentare e la
modifica del trattamento fiscale delle perdite sui crediti''.
Al tempo stesso l'Abi torna a chiedere una concertazione fra i soggetti interessati
sui costi delle commissioni bancarie che porti a un regolamento, evitando così
l'iter di una nuova legge. Al Forex di Napoli Faissola si era dichiarato d'accordo
con il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, per una maggiore
semplificazioni delle offerte di conti correnti dicendosi però contrario a una legge
E' necessaria una concertazione tra il Ministero, la Banca d'Italia, il Parlamento e
la stessa Abi: ''Noi siamo aperti e disponibili'', ha detto Faissola, ricordando
peraltro i dati diffusi dalla stessa Banca d'Italia che evidenziano come per i conti
affidati (principalmente imprese) ci sia stata una caduta dei costi di circa il 40%,
mentre per gli scoperti dei non affidati la situazione è più delicata e variegata
come nel caso ad esempio di assegni scoperti.
Secondo Antonio Lirosi, responsabile commercio e consumatori del Pd, "La ritrosia
degli istituti di credito ad applicare tempestivamente le leggi dello Stato a tutela
dei consumatori si era già manifestata all'epoca dell'introduzione della portabilità
dei mutui. Occorre varare un nuovo intervento legislativo", prosegue l'esponente
del Pd, "per correggere gli effetti negativi della sostituzione della commissione
massimo scoperto con altre voci e aggravi di spese a danno dei clienti. Ciò
andrebbe nella direzione della massima trasparenza indicata dal Governatore di
In generale, a proposito della situazione macroeconomica e delle recenti tensioni
sui mercati internazionali a causa del debito di alcuni Paesi, prima fra tutti la
Grecia (oggi il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha confermato come
l'esposizione delle banche italiane in Grecia sia molto bassa. Il sistema Italia è
esposto per circa 8 miliardi di euro, mentre quello tedesco per 35 miliardi e quello
francese per 80 miliardi), Faissola ha osservato come ''nonostante l'elevato debito
pubblico italiano, al momento non si registrano particolari tensioni nei nostri
Le accorte manovre di bilancio degli ultimi anni e la solidità del sistema bancario
nazionale sembrano infatti rassicurare i mercati''. E comunque, la situazione dei
nostri vicini, pur evidenziando elementi di forte criticità, non desta preoccupazioni
per l'integrità dell'euro, mentre ''maggiori preoccupazioni destano le condizioni
del mercato del lavoro'' in Usa che in Eurolandia. L'Abi ha in ogni caso confermato
le stime per il Pil dell'Italia del 2010 un poco sotto il punto percentuale con una
fase di ''espansione produttiva e ripresa''. Le banche europee rimangono sottocapitalizzate
A due anni dalla crisi del credito che ha falcidiato i mercati mondiali, per l'equity
desk Europeo di Aviva Investors poco sembra essere cambiato nel sistema
bancario europeo. La quantità di debito registrata rimane pericolosamente elevata
e manca la volontà di svalutare gli asset e di ricostruire il capitale.
Con l'incertezza in cui si trova il settore e il rischio di un ulteriore peggioramento
prima che la situazione inizi a migliorare, "manteniamo delle posizioni
underweight sui bancari in tutti i nostri portafogli", precisano gli esperti. Il
rapporto tra patrimonio netto e attività (equity ratio) della maggior parte delle
banche esaminate rimane sotto il 4%, implicando che la leva è 25 volte le attività
totali e in alcuni casi il livello di indebitamento è addirittura aumentato.
Sia Crédit Agricole che Commerzbank registrano, infatti, livelli di leva finanziaria
più alti rispetto a quelli riportati al culmine della crisi. Ma non è tutto. La maggior
parte delle banche europee mette a bilancio una grande quantità di asset
intangibili. Intangibili sono, nella terminologia contabile, l'eccesso di prezzo
pagato in un'acquisizione sul valore corretto di mercato degli asset, e in virtù
della loro natura intangibile sono considerati sicuramente di valore inferiore
rispetto ad asset tangibili o pressoché tangibili.
Questo, indicano gli esperti di Aviva Investors, è particolarmente rilevante per le
banche italiane e spagnole e spiega come mai l'adeguatezza patrimoniale di
Santander, Bbva e Unicredit sia superiore. Per esempio, si prevede che il 35% del
capitale azionario di Santander nel 2010 sarà intangibile, questo rapporto sarà del
25% per Bbva (Bank of America Merrill Lynch) e del 29% per Unicredit (JP
I governatori delle banche centrali e i ministri delle finanze, che sovrintendono il
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, si stanno preparando per imporre
entro i prossimi anni requisiti patrimoniali ancora più severi al settore. "In Aviva
Investors riteniamo possibile un ulteriore deterioramento della situazione
patrimoniale prima ancora che queste proposte si concretizzino", affermano gli
analisti, preoccupati perché in Europa sembra che esista una mancanza di volontà
nell'affrontare i problemi e nel raccogliere capitale.
Inoltre è pprobabile che il prezzo degli immobili continui a scendere, mettendo
sotto pressione l'asset value. I mercati periferici come quelli dell'Europa dell'Est
rimangono opachi e incerti e in generale in Europa sembra che esista una
mancanza di volontà nell'affrontare i problemi e raccogliere capitale.
Le banche europee sono state molto meno aggressive nella svalutazione di asset
deteriorati e nella raccolta di capitale rispetto a banche di altre parti del mondo.
Un documento del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sul tema delle
svalutazioni datato aprile 2009, afferma che le banche degli Stati Uniti hanno
effettuato svalutazioni per circa la metà delle perdite previste, mentre le banche
europee lo hanno fatto, ad oggi, solo per il 17%.
Il minor impegno nel raccogliere capitale e nel diminuire la leva attraverso
l'emissione di titoli è in parte dovuto al non aver affrontato queste perdite. Tra
marzo 2005 e giugno 2009, il livello di indebitamento del settore bancario in
Europa dell'Est è cresciuto di oltre tre volte fino a toccare 827 miliardi di euro
L'aumento dell'esposizione ai prestiti periferici appare molto alto in rapporto al
patrimonio totale che sostiene il sistema. Il patrimonio netto accumulato dalle
principali banche europee per capitalizzazione arriva a 403 miliardi di euro. Se
notiamo un deterioramento nel valore di questi asset opachi e illiquidi, ciò avrà
chiare implicazioni sulla solidità finanziaria del settore bancario europeo.
"Essendo stati tra i primi a evidenziare i rischi insiti nel settore bancario nel 2007
e avendo posizionato i nostri fondi in maniera appropriata in modo da proteggere
il capitale, fino a quando non vedremo miglioramenti concreti nei coefficienti di
capitalizzazione (capital ratios) delle principali banche, eviteremo di mettere il
capitale degli investitori a rischio in questo settore", conclude l'equity desk
Francesca Gerosa Libia apre a banche estere, due licenze per aprire filiali
La Banca centrale libica mette in gara due licenze bancarie per istituti stranieri. La
Central Bank of Libya ha specificato oggi che rilascerà due licenze a banche
straniere che arriveranno a detenere fino al 49% nelle nuove banche con il pieno
controllo della gestione. Il 51% andrà a investitori locali.
Le manifestazioni devono arrivare entro il 30 marzo, mentre a metà giugno è
prevista la conclusione dell'iter. Nel Paese nordafricano è attiva oggi solo una
banca europea, la francese Bnp Paribas, che affianca l'unica altra presenza
estera, quella della Arab Bank of Jordan. Presto aprirà poi i battenti, secondo
quanto indicano all'Ansa fonti della Banca Centrale libica, anche il portoghese
L'invito a manifestare interesse riguarda le banche che soddisfano tre criteri: un
patrimonio Tier 1 superiore ai 2 miliardi di dollari nell'ultimo bilancio approvato;
un rating di credito almeno pari a Baa2 da Moody's o BBB da Standard&Poor's o
da Fitch; gli istituti dovranno avere una riconosciuta presenza internazionale.
Nella costituzione dei due nuovi istituti, la Banca centrale gestirà l'intero rilascio
delle autorizzazioni e si attiverà per sollecitare l'intervento degli investitori locali
che saranno presenti nella compagine azionaria delle due banche. Dopo la fase di
raccolta delle manifestazioni di interesse, che si concluderà appunto il 30 marzo,
le banche ammesse al secondo step avranno a disposizione entro il 15 aprile un
pacchetto applicativo da completare e presentare alla Cbl entro il 15 giugno.
Al fianco della Banca centrale libica come advisor finanziario, nella procedura che
porterà gli istituti stranieri interessati a detenere fino al 49% del capitale e il
controllo della gestione nelle due nuove banche, c'è un esperto del Fondo
Monetario Internazionale, il libanese Mohamed Elhage.
Unicredit è, fra le grandi banche europee, quella forse più corteggiata da Tripoli
per un ingresso in Libia anche se non risulta che Piazza Cordusio stia per ora
valutando un impegno diretto nel Paese. La Banca Centrale di Libia è uno dei
maggiori azionisti del gruppo italiano, dove si è rafforzata (i libici erano già soci di
Capitalia) grazie al sostegno garantito a fine 2008 alla ripatrimonializzazione
La quota, pari al 4,34% di Unicredit, è stata confermata poi nelle scorse
settimane con la partecipazione all'aumento di capitale da 4 miliardi di euro
dell'istituto guidato da Alessandro Profumo. Domani il ministro degli Esteri,
Franco Frattini, vedrà a Roma, a Villa Madama, i colleghi di Libia e Malta, Mousa
Kousa e Tonio Borg. E' prevista una conferenza stampa congiunta. Francesca Gerosa Salute, italiani e europei spendono miliardi in medicinali falsi
16/02/2010 14.30Gli europei occidentali spendono una stima di 10,5 miliardi di euro all'anno in
medicinali originati in modo illecito, per la maggior parte contraffatti, secondo un
sondaggio sponsorizzato da Pfizer e reso noto oggi. Italiani e tedeschi acquistano
la maggior parte dei farmaci vendibili solo con prescrizione senza ricetta, spesso
su Internet o in viaggi all'estero, nightclub, negozi e tramite amici. I medicinali
contraffatti spesso contengono ingredienti sbagliati o tossici e rappresentano una
crescente minaccia per la salute in tutto il mondo, soprattutto nei paesi poveri,
secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità. Sono anche una spina nel fianco
di società come la Pfizer, la più grande casa farmaceutica al mondo, la cui pillola
contro l'impotenza Viagra e il farmaco anticolesterolo Lipitor sono due dei bersagli
preferiti per le contraffazioni illegali. www.ilmessaggero.it Denuncia dei redditi 2008: il 27% dei contribuenti paga zero Irpef
ROMA (16 febbraio) - Il 27% dei 30,5 milioni di contribuenti che presentano la
dichiarazione dei redditi non pagano l'Irpef, o per effetto del basso reddito, o
perché l'imposta dovuta è compensata da deduzioni e detrazioni. E' quanto si
rileva dall'Analisi delle dichiarazioni dei redditi del 2008, relative ai redditi 2007,
delle quali sono state diffuse oggi dal ministero dell'Economia le statistiche
complete. Dalle elaborazioni emerge che la metà dei contribuenti non supera i
15.000 euro e che più in generale il 91% dei contribuenti dichiara redditi non
Reddito medio: 18.661 euro. In media i contribuenti italiani hanno pagato nel
2008 un'Irpef pari al 18,4% del proprio reddito, versando 4.670 euro pro-capite.
E' quanto emerge dalle elaborazioni delle dichiarazioni dei redditi 2008, delle quali
il dipartimento delle Finanze ha reso pubblico le statistiche complete. Il reddito
complessivo medio è stato pari a 18.661 euro: rispetto all'anno precedente è
aumentato, su base nazionale, dell'1,9%, con un incremento minimo nelle Isole e
massimo nelle regioni del Nord-Est. Il tipo di reddito dichiarato deriva per il 78%
da redditi da lavoro dipendente e da pensione, per il 5,5% da redditi da
partecipazione, per il 5% da redditi di impresa e per il 4,2% da redditi da lavoro
autonomo. Tuttavia, i redditi da lavoro autonomo presentano un valore medio più
alto (pari a 37.120 Euro, circa il doppio del reddito complessivo medio), mentre i
redditi da pensione quello più basso (pari a 13.436 euro). www.ilsole24ore.com
Chi era Gaetano Caltagirone, da Italcasse alla riabilitazione di Orazio Carabini
Riabilitato dalla giustizia. Risarcito con 500 miliardi di lire dalla banca (Iccri-
Italcasse) che, secondo i giudici, lo aveva fatto fallire. Ricompensato dal
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che gli restituì nell'agosto dello
scorso anno quel titolo di Cavaliere del lavoro toltogli con ignominia da Sandro
A Gaetano Caltagirone, tutto sommato, non era andata male. Passare dal
fallimento, con il rischio di seguiti giudiziari, a un tranquillo esilio dorato a
Montecarlo, con tanto di riconoscimento pubblico finale, è un bel risultato. Suo
fratello Francesco Bellavista, che con l'altro fratello Camillo aveva condiviso
l'ascesa e il declino degli anni 70, è addirittura tornato in pista ripartendo
dall'Acqua Marcia, una storica società quotata. Sempre a debita distanza dal
cugino Francesco Gaetano, detto Franco, padrone dell'omonimo gruppo che
include la Vianini, la Cementir e il Messaggero.
Gaetano Caltagirone sarà ricordato, più che per le sue attività imprenditoriali, per
come in quegli anni si poteva declinare il rapporto tra affari e politica. La
vicinanza dei fratelli Caltagirone alla corrente Dc guidata da Giulio Andreotti era
uno degli asset più importanti, se non il più importante, del gruppo attivo nel
settore delle costruzioni. Poter contare sull'appoggio di Andreotti, in quell'epoca,
voleva dire trovarsi tutte le porte spalancate.
Di Gaetano è passata alla storia la battuta con cui si rivolgeva a Franco
Evangelisti, braccio destro di Andreotti: "A Fra' che te serve?". Rivelando una
stretta contiguità che si trasformava in favori reciproci. Aldo Moro, il leader
democristiano ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse, nel memoriale scritto durante
la prigionia sostenne che Andreotti affidò a Caltagirone stesso la scelta del
successore di Giuseppe Arcaini, il direttore generale di Italcasse, la banca verso
cui il gruppo edile era più indebitato. Un rapporto favorito dal "comune
denominatore": Andreotti. I fratelli Vitalone, Claudio e Wilfredo, entrambi
magistrati e vicini ad Andreotti, non lesinavano consigli a Caltagirone. Che ne
ebbe bisogno per le sue traversie giudiziarie.
Nel 1978 fu dichiarato il fallimento delle società del gruppo e dei tre fratelli
Caltagirone. Ma la Cassazione ribaltò la sentenza sostenendo che il valore degli
immobili copriva i mutui concessi dalla banca. E attribuì la responsabilità a
Italcasse-Iccri aprendo la strada alla richiesta di risarcimento che fruttò 500
miliardi di lire ai Caltagirone. A metà degli anni 90 il pool di Mani Pulite indagò
sulla vicenda quando scoprì che tra i protagonisti figuravano gli avvocati Giuseppe
Acampora e Cesare Previti e che la sezione della Corte d'appello, la prima, che
riabilitò i Caltagirone era la stessa da cui aveva preso origine un altro
risarcimento miliardario: quello dell'Imi alla Sir di Nino Rovelli o meglio ai suoi
Ma nulla è cambiato e i Caltagirone sono rimasti vittime della giustizia e delle
Multa illegittima se va pagata solo alla Posta di F. Machina Grifero
Il verbale di contravvenzione che prevede come unica forma di pagamento il
bollettino postale è illegittimo. Infatti, limitando le modalità di pagamento in
misura ridotta, quelle previste nei primi 60 giorni dall'elevazione della multa,
rischia di tradursi in un «considerevole aggravio» pecuniario per il cittadino.
Lo ha deciso il giudice di pace di Palermo, con la sentenza 12 febbraio 2009
(pubblicata sulla Guida al diritto del Sole 24 Ore), accogliendo il ricorso di un
automobilista contro il verbale di una multa sul quale era scritto nero su bianco
che l'unico modo per pagare il minimo della sanzione era l'utilizzo del «bollettino
allegato mediante versamento in conto corrente postale», di cui seguiva il
Una restrizione che non ha convinto il giudice onorario, il quale si è rifatto
testualmente al codice della strada in, cui all'articolo 202, si prevede che a fronte
di una «sanzione amministrativa pecuniaria» il trasgressore è sempre ammesso
«a pagare, entro sessanta giorni», che decorrono dalla contestazione o dalla
notificazione, «una somma pari al minimo fissato dalle singole norme». E, più
avanti, ne indica nel dettaglio anche le modalità, prevedendo che il cittadino «può
corrispondere la somma dovuta presso l'ufficio dal quale dipende l'agente
accertatore», dunque, al comando di zona dei vigili «oppure a mezzo di
versamento in conto corrente postale», e cioè presso qualsiasi sportello delle
Seguendo il dettato normativo, perciò, non c'è scampo: il pagamento deve poter
essere effettuato in via alternativa in entrambi i modi, e quindi anche presso il
comando dei vigili (diversa è l'ipotesi di versamento mediante conto corrente
bancario che la norma stessa prevede come facoltativa).
Se questo non accade l'accertamento è illegittimo in quanto, escludendo una delle
forme di oblazione previste obbligatoriamente dalla legge, riduce le possibilità di
estinguere la sanzione nei tempi giusti rischiando, così, di tradursi in un ulteriore
«ingiustificato onere pecuniario», come lamentato dall'automobilista ricorrente. Fisco: dall'Agenzia delle Entrate nuove regole per le ipoteche e i sequestri
Nuova spinta alle misure cautelari adottabili per garantire la riscossione dei tributi
evasi da parte dell'Agenzia delle entrate, che preme sull'acceleratore per un
adeguato utilizzo dell'istituto reso assai più incisivo dalle recenti modifiche
normative. Le misure cautelari sono, infatti, ormai esperibili non solo sulle
sanzioni ma anche sui tributi. E c'è la possibilità di ricorrere a questi strumenti
anche quando il contribuente evita la lite col Fisco e definisce "in pac" il rapporto
tributario attraverso i neonati istituti di adesione ai contenuti del pvc (processo
verbale di constatazione) o dell'invito al contraddittorio che, a differenza
dell'accertamento con adesione ordinario, non prevedono la prestazione di
In una nota l'Agenzia spiega come, nel caso in cui particolari e concrete ragioni lo
richiedano, infatti, si può ricorrere alle misure cautelari sia quando il contribuente
è ancora in tempo per aderire ai contenuti di un verbale o di un invito, sia dopo
che ha già aderito. Sono alcuni dei chiarimenti forniti dall'Agenzia delle Entrate
con la circolare n. 4/E di oggi, relativa alle misure cautelari e all'impulso dato dal
decreto anticrisi (dl 185/2008) all'uso di questi strumenti «salva-credito», per
contrastare i fenomeni di evasione da riscossione. In particolare, il documento di
prassi spiega che l'Agenzia può chiedere l'iscrizione dell'ipoteca sui beni del
debitore e l'autorizzazione a procedere al sequestro conservativo anche a tutela
dei crediti relativi alle imposte e agli interessi connessi ai processi verbali di
Sebbene per i funzionari impegnati in attività di verifica non esistano limiti, in
termini di credito, alla richiesta di applicazione delle misure cautelari, per evitare
di avviare iter lunghi e dispendiosi anche per somme di scarso valore, l'Agenzia
ha stabilito in passato degli specifici parametri, veri e propri indici antievasione,
che la circolare diffusa oggi aggiorna per rimanere al passo con i tempi e la
rivalutazione monetaria. Nel dettaglio, i nuclei di verifica del Fisco possono
valutare se richiedere le misure cautelari nel caso in cui il processo verbale di
constatazione contenga rilievi che comportino, tra l'altro, un recupero di maggiore
imposta superiore a 120mila euro o di ritenute non operate sopra i 60mila euro.
Resta fermo - precisa ancora l'Agenzia delle entrate - che i funzionari verificatori
possono comunque prescindere da questi indici se il comportamento del
contribuente è spia di situazioni particolarmente a rischio per la riscossione del
credito. Non solo. Il documento di prassi chiarisce che i nuclei di verifica possono
ampliare ulteriormente l'analisi patrimoniale dei contribuenti, esaminando più a
fondo i documenti di bilancio e ricorrendo a ulteriori indicatori più specifici.
SOTTO LA LENTE NON SOLO PROCESSO VERBALE. Gli uffici possono promuovere
l'adozione di misure cautelari non solo davanti a un processo verbale di
constatazione, ma di fronte a un atto emesso senza un'attività istruttoria esterna,
sulla base di controlli spinti da altre fonti d'impulso. A questo proposito la
circolare ribadisce il peso delle indagini finanziarie, che gli uffici possono utilizzare
nel valutare la situazione economica del debitore, in vista della possibile richiesta
EQUITALIA. Le misure ottenute dall'Agenzia valgono anche per Equitalia. Le
ipoteche e i sequestri conservativi mantengono, senza bisogno di alcuna formalità
o annotazione, la loro validità e il loro grado a favore dell'agente della riscossione
I bonus non sono calati perché il 2009 non è stato così terribile
Nel 2009 le aziende europee hanno pagato in media ai loro dirigenti bonus per 1
milione e 200mila euro, esattamente l'ammontare della retribuzione fissa. Il dato
emerge da una ricerca di Hewitt Associates, ripresa dal Wall Street
Journal,sull'impatto della crisi nella remunerazione dei top manager. Il risultato è
che, a fronte di una certa riduzione dei salari fissi, i premi sono rimasti
sostanzialmente stabili. A dispetto delle tante parole spese nei vertici
internazionali. La spiegazione data da Hewitt Assiciates è che, di fatto, il 2009 è
stato un anno meno terribile di quanto le aziende avevano previsto negli ultimi
mesi del 2008 (quelli del panico post Lehman). E così è stato più facile per i top
manager raggiungere i risultati richiesti per ottenere i bonus.
Andando a guardare i numeri dell'indagine emerge che gli executive dagli stipendi
più alti d'Europa sono gli spagnoli. Nel 2009 si sono portati a casa, in media, uno
stipendio base di 1,93 nilioni di euro. Seguono gli italiani che hanno incassato
1,72 milioni di euro di retribuzione. Più ridotto lo stipendio medio dei dirigenti
inglesi (1,31 milioni di euro), tedeschi (1,18 milioni di euro) e americani (1,08
Faissola: «Ridurre il peso del fisco per attenuare la penalizzazione di Basilea» di Rossella Bocciarelli
È necessario cogliere la fase di transizione verso le nuove regole di Basilea sugli
intermediari finanziari per realizzare alcune innovazioni legislative in Italia, a
cominciare dalla riforma della legge fallimentare e dalle modifiche del trattamento
fiscale delle perdite su crediti. È il suggerimento rivolto al legislatore dal
presidente dell'Abi, Corrado Faissola ascoltato in audizione presso la commissione
Finanze. Faissola ha ricordato dubbi e timori delle banche italiane in relazione alle
modifiche all'attuale accordo interbancario sui ratios patrimoniali deliberate a
metà dicembre dal comitato dei regolatori di Basilea: «È importante considerare –
ha sottolineato – che l'applicazione della nuova normativa in una fase di lenta
uscita dalla crisi potrebbe avere effetti negativi e poco coerenti con i reali obiettivi
della revisione in corso, con conseguenze sull'attività di prestito e sul rapporto
Secondo Faissola, inoltre, nelle nuove regole di Basilea occorre evitare di
penalizzare strumenti di capitale tipici della realtà italiana, come le azioni di
risparmio o privilegiate e serve anche «poter computare ai fini del patrimonio di
vigilanza le poste relative alla fiscalità anticipata, in larga parte generata dalle
peculiarità del sistema fiscale» (come quelle originate dalla svalutazione dei
crediti). Faissola ha spiegato anche l'importanza del previsto "studio di impatto"
sul sistema creditizio delle nuove regole, da accompagnare «anche a simulazioni»
degli effetti sull'economia reale. «Solo successivamente - ha sottolineato - sarà
possibile dare compiuta definizione alle nuove disposizioni, alle quali far seguire la
Il presidente dell'Abi ha colto anche l'occasione per tornare ad affermare che le
banche italiane hanno evitato una situazione di stretta del credito (credit crunch)
nella crisi sopportando un aumento significativo delle sofferenze e mitigando
l'incremento della richiosità con un «fondamentale contributo, pur se indiretto» al
conto che la crisi ha imposto al paese.
Infine, Faissola ha ribadito la posizione delle aziende di credito italiane riguardo
alla questione dei costi elevati delle commissioni bancarie (uno studio della Banca
d'Italia ha appena messo in evidenza che se nella media questi costi sono
diminuiti, una banca su tre li ha ritoccati all'insù).
Faissola ha infatti affermato che per risolvere il problema non serve una nuova
legge, ma è sufficiente un regolamento adottato d'intesa fra Abi, Tesoro, Banca
d'Italia e Antitrust.«No a una nuova disciplina normativa - ha affermato il
presidente dell'Associazione bancaria italiana - ma serve un nuovo regolamento
d'intesa tra Abi, Tesoro, Bankitalia e Antitrust. Per noi la trasparenza è
fondamentale. Solo con il confronto fra i diversi attori - vigilanti, vigilati e governo
- si possono trovare soluzioni. Noi siamo aperti e disponibili a collaborare». Barclays Italia ha aperto 200 filiali in tre anni di Ilaria Verunelli
Più di 400 nuovi dipendenti assunti nel 2009 e un piano di forte espansione sul
mercato italiano che, a partire dal 2006, ha visto l'apertura di circa 200 filiali in
meno di tre anni. Sono alcune delle cifre del marchio Barclays in Italia che, alla
divisione Global Retail Banking (Grb), affianca oltre 100 negozi finanziari Mutui e
Prestiti, una rete di promotori finanziari e oltre 400 agenti specializzati nella
Dal 1990 Barclays, inoltre, opera in Italia con due marchi a vocazione specialistica
(entrambi parte della divisione Grb);: Woolwich, leader nell'offerta di mutui per la
casa (4 centri presenti nelle principali città italiane e più di 200 promotori
finanziari) e Barclaycard, la divisione dedicata al business delle carte di credito,
fra i leader mondiali del settore con gli oltre 11 milioni di carte emesse in Europa
(Italia, Francia, Spagna, Germania, Grecia), Africa e Caraibi. È di pochi giorni fa
l'annuncio di un accordo che prevede l'acquisizione da parte di Barclays del
business italiano di carte di credito di Citigroup. L'operazione che si configura
come cessione di ramo d'azienda, include l'acquisizione da parte di Barclays di
circa 197mila carte di credito e 234 milioni di euro in asset lordi, al 31 dicembre
2009. La transazione dovrebbe chiudersi nel primo trimestre del 2010 dopo le
necessarie consultazioni sindacali e l'approvazione dell'Autorità Garante della
Dal 2008 Barclays è, inoltre, presente a Milano con una flagship Premier situata
nel cuore di Milano e creata per rispondere alle necessità dei clienti più esigenti.
«Gli istituti hanno evitato la stretta del credito»
Tirate più volte in ballo durante i lunghi mesi della crisi come principali
responsabili dello scarso credito erogato alle imprese, le banche tornano a
respingere con fermezza l’accusa. E anche ieri, davanti alla Commissione Finanze
della Camera, il presidente dell’Abi, Corrado Faissola, ha respinto ogni addebito,
sostenendo anzi che gli istituti di credito hanno evitato una situazione di stretta di
credito (credit crunch) nella crisi sopportando un aumento significativo delle
sofferenze e mitigando l’incremento della richiosità. Con un «fondamentale
contributo (pur se indiretto)» al conto che la recessione ha imposto al Paese.
Per dar forza alle proprie parole, il numero uno dei banchieri si è affidato ai
numeri. Considerato che per credit crunch si deve intendere una severa flessione
nel tasso di crescita dell’indice di intensità creditizia, ossia del rapporto tra credito
e Pil nominale, in Italia questo indice è passato dal +9,1% del primo trimestre
2009 al +1,9% del terzo trimestre dello scorso anno, restando dunque in
territorio positivo e al di sopra della soglia (-1%) che il Fmi individua quale limite
oltre il quale si può cominciare a parlare di stretta creditizia.
Faissola si è poi soffermato sulla questione delle commissioni bancarie,
considerate dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi, ancora poco trasparenti e
in alcuni casi più onerose nonostante l’abolizione della commissione di massimo
scoperto. Il presidente dell’Abi è tornato a chiedere una concertazione tra i
soggetti interessati sui costi delle commissioni bancarie che porti a un
regolamento, evitando così l’iter di una nuova legge così come chiesto invece
dallo stesso Draghi. E ha quindi ricordato i dati diffusi proprio da Bankitalia che
evidenziano come per i conti affidati (principalmente imprese) «ci sia stata una
caduta dei costi di circa il 40%» mentre per gli scoperti dei non affidati la
situazione è più delicata e variegata come nel caso ad esempio di assegni
A Faissola ha però replicato quasi in tempo reale il presidente dell’Antitrust,
Antonio Catricalà, secondo il quale sugli alti costi delle commissioni serve una
legge e non basta un regolamento. «La commissione di massimo scoperto - ha
detto - è disciplinata per legge. Io credo che serva un’integrazione a quella
legge». A chi gli faceva notare che forse l’Abi preferisce un regolamento a una
legge vera e propria per poter meglio sfuggire agli adempimenti, il presidente
dell’Antitrust si è limitato a dire: «Non voglio essere maligno». indiscreto
Giochi aperti per il rinnovo dei vertici dell’Abi, dove il presidente Corrado Faissola
non sembra avere alcuna intenzione di cedere il passo a Giuseppe Mussari. Il
presidente del Monte Paschi, ha ottenuto l’appoggio di Unicredit, ma fra i trenta
consiglieri che alle dieci di questa mattina prenderanno posto nel comitato
esecutivo dell’Abi, è diffusa la convinzione che Faissola sia più che mai in corsa
per il suo terzo mandato. Tanto che a presiedere i lavori, dovrebbe essere il
numero uno di Federcasse, Alessandro Azzi, in qualità di vicepresidente anziano.
Sul tavolo del comitato ci sarà la scelta dei cinque saggi incaricati di «sondare» la
base degli associati e individuare il candidato capace di coagulare il più ampio
consenso possibile. Malgrado l’asse Unicredit-Mps, l’ago della bilancia resta il
variegato mondo degli istituti medio-piccoli, incluse le Popolari di cui Faissola è
l’«alfiere» naturale. Soprattutto dopo che il presidente di Ubi ha rilanciato il ruolo
del «Comitato piccole banche» in seno all’Abi. Una scelta che, sostiene un
banchiere, frutterà a Faissola molta «gratitudine». E i saldi legami con Intesa
Prove di rimbalzo per le banche, quali prospettive per Intesa Sanpaolo ed Unicredit?Il comparto bancario è quello che ha sofferto più di altri nel corso della fase ribassista iniziata dal top dello scorso ottobre. Il settoriale domestico ha lasciato
sul terreno dal massimo del 15 ottobre fino ai recenti minimi di febbraio il 25% circa, molto di più del 16% circa perso dal mercato nel suo complesso. Nel corso delle ultime due settimane si è modificata tuttavia la situazione della forza relativa che vede messe in rapporto le serie storiche dei principali rappresentanti del settore bancario, Unicredit ed Intesa Sanpaolo, e il Ftse All Share. Il grafico di forza relativa infatti, dopo aver mostrato per molti mesi, dall'estate 2009, una sostanziale sintonia di movimenti tra indice azionario e titoli dei singoli istituti, ha virato decisamente al ribasso a partire da inizio anno, segnalando una fase durata circa quattro settimane di decisa sotto performance delle azioni rispetto all'indice. Da alcune sedute tuttavia il grafico di forza relativa ha inviato i primi segnali favorevoli ad una inversione al rialzo, ovvero al ritorno in una situazione dove i titoli potrebbero tornare a sovra performare l'indice. Ovviamente, trattandosi di una situazione embrionale, il rischio che non si riesca a sviluppare una vera e propria tendenza favorevole ai bancari è elevato, tuttavia la il contesto merita un approfondimento. I titoli delle due maggiori realtà bancarie italiane sono caratterizzati infatti da una volatilità elevata (quella storica è superiore del 50% circa rispetto a quella dell'indice), e se dovessero intraprendere la strada del rialzo, fosse anche solo per un temporaneo rimbalzo, si verrebbero a creare gli spazi sufficienti per operare al rialzo anche da parte di investitori non particolarmente speculativi. Intesa Sanpaolo ha disegnato tra metà ottobre e metà gennaio una figura a doppio massimo, in area 3,20 euro, completata il 4 febbraio con la discesa al di sotto dei minimi del 5 novembre a 2,74 euro. Precedentemente il titolo aveva violato sia la media mobile a 100 sedute, ora resistenza passante in area 3 euro, sia la media a 200 sedute, ora in area 2,80 euro. Il quadro grafico parla quindi di una situazione di debolezza accentuata, confermata anche dall'impennata dei volumi registrata nelle prime sedute del mese di febbraio. Esistono tuttavia due elementi positivi che potrebbero fare pensare ad un prossimo tentativo di rimbalzo: i minimi dell'8 febbraio a 2,51 euro sono stati toccati infatti in corrispondenza con il 38,2% di ritracciamento del rialzo dai minimi di marzo 2009, ovvero il primo dei livelli di Fibonacci, un supporto che spesso si dimostra in grado di arginare le fasi correttive. In aggiunta a questo l'indicatore Rsi a 14 sedute, uno degli oscillatori maggiormente utilizzati dagli analisti grafici, ha disegnato a partire dal 28 gennaio una figura a doppio minimo in area di ipervenduto. Le figure disegnate sulla curva dell'indicatore hanno la stessa validità di quelle presenti sul grafico dei prezzi, quindi la presenza di un doppio minimo sull'Rsi potrebbe favorire un rimbalzo. Segnali favorevoli ad
un rimbalzo del titolo verrebbero al di sopra di area 2,80 euro. In quel caso un primo obiettivo si colloca a 2,985, lato superiore del gap ribassista del 22 gennaio. Il target successivo sono i massimi di gennaio a 3,22 euro. Discese sotto 2,50 farebbero invece sorgere forti dubbi sulle prospettive di una reazione. Il rischio del proseguimento del ribasso fino ad almeno area 2,25, 50% di ritracciamento del rialzo dai minimi del 2009, sarebbe in quel caso molto elevato. La violazione di 2,50 dovrebbe quindi fare scattare lo stop loss per eventuali posizioni al rialzo intraprese nell'ottica di sfruttare l'attuale rimbalzo.Anche Unicredit dopo essere sceso al di sotto sia della media mobile a 100 sedute, resistenza a 2,30 euro, sia di quella a 200 sedute, passante in area 2,12, ha testato con i minimi dell'8 febbraio a 1,86 il 38,2% del rialzo dai minimi del marzo 2009, ovvero il primo ad essere considerato significativo dei ritracciamenti di Fibonacci. Ipotizzare quindi che il test di area 1,85 abbia rappresentato un punto di arrivo, almeno temporaneo, per il ribasso, è plausibile. Certo, da qui a dire che la correzione vista dal top di ottobre è terminata ce ne corre: le correzioni spesso si disegnano in tre segmenti, e la fase ribassista degli ultimi mese potrebbe rappresentare solo il primo di questi. Una eventuale reazione dovrebbe superare almeno area 2,20/25, dove transita la linea tracciata dai massimi di ottobre, per poter ambire ad estendere verso i 2,65 euro. E solo con il superamento dei massimi dello scorso anno il titolo si affrancherebbe dal rischio di essere ancora nell'ambito di una fase correttiva ribassista. In ogni caso, anche se un eventuale rimbalzo dovesse limitarsi ad avvicinare i massimi del 2009, lo spazio per una operatività al rialzo anche di non brevissimo termine esiste. L'Rsi a 14 sedute dice che con i minimi di fine gennaio è stato toccato un livello di ipervenduto così basso come non lo si vedeva dallo scorso marzo, successivamente si è disegnata poi anche una divergenza rialzista (l'indicatore ha disegnato una tendenza al rialzo, con minimi crescenti, mentre il grafico del titolo mostra minimi decrescenti), ulteriore indizio favorevole alla realizzazione di una fase positiva. Sarebbero solo discese al di sotto di area 1,80/85 ad allontanare le prospettive di una ripresa introducendo il rischio del test a 1,60 del 50% di ritracciamento del rialzo dai minimi di marzo 2009. Per coloro che volessero tentare l'inserimento del titolo in portafoglio, pur in un'ottica di breve medio termine, i livelli attuali possono rappresentare già una opportunità, a patto di proteggere le posizioni con uno stop loss da attivare al di sotto dei 1,80 euro.
Assoprevidenza punta il faro sul nuovo trend Sono in pensione e me ne vado in Sudamerica di Sergio Corbello Sono ormai alcune migliaia i pensionati italiani che hanno deciso di trascorrere la terza età all’estero. Una scelta che presumibilmente verrà presa da un sempre maggior numero di persone alla ricerca di paesi dove il potere di acquisto della pensione possa permettere di vivere, magari non nel lusso, ma almeno senza affanni.
Al momento non sono disponibili statistiche ufficiali, ma la tendenza è evidente. Sono in molti ad aver deciso di “ottimizzare” la propria situazione andando a vivere all’estero, magari in paesi dal clima caldo e dagli incantevoli paesaggi naturali. Del resto, strumenti come Internet e Skype, piuttosto che le compagnie aeree low cost, favoriscono una “scelta di vita” di questo tipo, senza dover interrompere del tutto il legame con l’Italia.
Le mete preferite sono il Sudamerica (soprattutto il Brasile, Cuba e il Costarica), gli stati del bacino del Mediterraneo (Tunisia e Marocco) e il Sudafrica, che sta raccogliendo crescenti simpatie.
Ad accendere i riflettori su questo fenomeno, non più marginale, è stata Assoprevidenza – il centro tecnico nazionale di previdenza e assistenza complementare – ponendo in evidenza, attraverso la pubblicazione del Quaderno 17 ( I Profili Internazionali della Previdenza Complementare, a firma di Federico Rasi), alcune problematicità di natura fiscale. In particolare, tra le criticità considerate, emerge che i pensionati che si trasferiscono stabilmente all’estero debbono fare i conti con i numerosi ostacoli tributari che si frappongono alla libera circolazione delle rendite previdenziali. La questione riguarda con maggior intensità la previdenza complementare, atteso che essa opera in regime tecnico di capitalizzazione
Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni per eliminare le maggiori barriere fiscali alla libera circolazione degli assegni pensionistici, ancora oggi le legislazioni nazionali di fatto contrastano la possibilità dei lavoratori di aderire a forme pensionistiche estranee al paese di residenza o di trasferire la propria posizione previdenziale accumulata tra forme previdenziali appartenenti a stati diversi. Per non parlare delle incertezze che si determinano al momento di maturazione della prestazione previdenziale, laddove esista una divergenza anagrafica fra lo stato di residenza della forma previdenziale e quello di residenza dell’individuo.
Si tratta di problemi di non facile soluzione. Salvo i paesi con cui l’Italia ha sottoscritto appositi accordi bilaterali, il rischio per gli intraprendenti pensionati è di subire una doppia imposizione fiscale delle pensioni di base e delle forme complementari. La soluzione può essere trovata solamente grazie ad accordi di
“reciprocità” fra i vari stati, intese che, a livello di Unione, trovano realizzazione, sia pure non esclusiva, all’interno di strumenti legislativi comunitari, mentre a livello extra-comunitario debbono necessariamente divenire oggetto di negoziazioni bilaterali.
Per sua natura, la disciplina fiscale della previdenza complementare ha un orizzonte temporale di riferimento molto ampio e questa circostanza permette ai legislatori nazionali di concentrare la tassazione del risparmio previdenziale anche in una sola delle tre fasi (contribuzione, accumulazione, prestazione) in cui la vicenda previdenziale si articola.
Può accadere che qualora il lavoratore si sposti da uno Stato che applica il sistema E-E-T (Esenzione – Esenzione – Tassazione), a un altro fondato sul modello T-E-E (Tassazione - Esenzione – Esenzione) o viceversa, subisca una disparità di trattamento rispetto ai soggetti che continuano ad aderire a un unico sistema. Il trasferimento dell’interessato, in altri termini, può determinare il verificarsi di casi di doppia imposizione.
La scelta di uno stato di riservare un regime fiscale di favore ad una delle fasi del piano previdenziale complementare, si fonda, infatti, sul presupposto del rinvio della tassazione a una fase successiva (la concessione del vantaggio fiscale della deduzione dei contributi, a titolo di esempio, è correlata alla successiva tassazione delle prestazioni, lontana nel tempo dalla prima). Il trasferimento di un iscritto da uno stato a un altro modifica tale simmetria, con effetti ora favorevoli ora sfavorevoli per l’interessato.
Considerato che la maggior parte degli ordinamenti adotta lo schema di tassazione E-E-T (Esenzione – Esenzione – Tassazione), l’espatrio è svantaggioso ove non vi sia la rinuncia all’imposizione da parte del paese che ha concesso l’esenzione nella fase di accantonamento e/o di accumulo, a favore del paese presso cui si realizza il momento impositivo sulla prestazione.
Entrando più nello specifico delle problematiche trattate da Federico Rasi nel Quaderno n.17 della Collana di Assoprevidenza, i principali ostacoli fiscali alla realizzazione di un sistema omogeneo di previdenza complementare a livello internazionale sono dovuti all’esistenza di asimmetrie tra gli ordinamenti coinvolti, riguardanti i diversi step dell’iter previdenziale:• contribuzione: si tratta dei casi in cui la deducibilità o altra agevolazione riconosciuta in caso di adesione ai fondi pensione residenti non sia invece riconosciuta in caso di adesione a fondi pensione non residenti;• accumulazione: si tratta dei casi in cui la tassazione eventualmente subita dai fondi pensione nella fase di accumulazione, e per la quale non siano previsti rimborsi in capo ai non residenti, riduca la loro competitività nei confronti di istituzioni residenti in paesi in cui tale fase sia esente da imposta; • prestazione: si tratta dei casi in cui si generano fenomeni di doppia
imposizione dovuti alla circostanza che il paese della fonte e quello della residenza non si accordino circa l’attribuzione della potestà impositiva.
E’ utile ricordare che già nel 1999 la Commissione Europea evidenziava come le diversità negli schemi di previdenza complementare potessero causare un impedimento all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario. “La diversità, complessità e specificità dei sistemi fiscali nazionali sviluppatisi negli ultimi anni sono considerati il maggior ostacolo per l’esercizio della libera circolazione delle persone e la libertà di prestazione di servizi in materia di pensione complementare ed assicurazione sulla vita”. Così si esprimeva la Commissione Europea nella COM 134 “Verso un mercato unico per i regimi pensionistici integrativi” dell’11 maggio 1999. Da allora le istituzioni comunitarie si sono impegnate per rimuovere tali ostacoli, ma non si può certo dire che il lavoro sia stato completato.
La situazione è ancora oggi particolarmente complessa per via della mancata applicazione negli Stati Membri del principio di reciproco riconoscimento dei sistemi pensionistici complementari e delle normative fiscali che li connotano.
Per porre rimedio a questa realtà la Commissione Europea, oltre ad avviare procedure di infrazione nei confronti degli Stati Membri, ha cercato di offrire soluzioni con la Direttiva2003/41/CE che, accogliendo l’ottica della specificità del fenomeno previdenziale, ha individuato condizioni e procedure in base alle quali un ente pensionistico costituito in uno Stato Membro può offrire servizi previdenziali in un altro a condizioni di parità.
Dall’esame della Direttiva emerge tuttavia la cautela con la quale la Commissione ha affrontato il problema della previdenza complementare, arrivando alla conclusione che, diversamente da altri settori, quello previdenziale potrebbe anche tollerare differenze nelle diverse legislazioni.
In conclusione, il maggior ostacolo alla mobilità transnazionale dei lavoratori è la miopia degli Stati, troppo attenti a disciplinare solo taluni aspetti, dimenticando il quadro di insieme.
Secondo l’analisi effettuata dal Quaderno di Assoprevidenza, “Sarebbe opportuno che fosse predisposta una legislazione di coordinamento a livello comunitario che permetta un reciproco riconoscimento degli schemi di previdenza complementare di tutti gli Stati membri, che detti norme in grado di prevenire la doppia imposizione fiscale. Almeno a livello comunitario sarebbe preferibile un approccio che affrontasse in maniera diretta il problema della previdenza complementare avendo in mente le diverse fasi in cui si articola”. I singoli Stati sono chiamati, a loro volta, a recuperare una visione di insieme e dettagliare meglio le convenzioni bilaterali. La Cina volta le spalle agli Usa
(17/02/2010) Lo avevano detto piu' volte e ora stanno passando alla pratica. La Cina infatti non
e' piu' la prima acquirente di debito pubblico americano. Secondo quanto riferito
infatti dal dipartimento del Tesoro, Pechino ha tagliato del 36% l'acquisto di t-
bond, lasciando cosi' il primo posto di finanziatore estero degli Usa al Giappone.
Negli ultimi mesi, del resto, piu' volte la Cina aveva sollevato qualche dubbio
sull'affidabilita' delle obbligazioni statunitensi, visto che il bilancio pubblico americano vanta ormai un rosso da record. Ma in
generale e' un po' tutto il fronte dei titoli di stato americani a perdere colpi,
sempre il Tesoro dice infatti che gli acquisti di azioni e obbligazioni hanno visto
una crescita netta di 63,3 miliardi a dicembre, contro i 126,4 visti appena un
mese prima. Il risultato attuale e' anche frutto di un saldo netto che ha visto vendite di Us
Treasuries per oltre 34 miliardi di dollari da parte della Cina, mentre il saldo
giapponese vede acquisti per 11,5 miliardi di dollari, arrivando cosi' alla
stratosferica quota di 768,8 miliardi contro i 755,4 miliardi della Cina. Si conferma in questo modo la sensazione che la Pechino non si senta per niente
sicura circa la tenuta dei conti statunitensi, considerato che solo qualche anno fa
il colosso asiatico si affrettava a rilevare quasi il 50% del debito a stelle e strisce,
mentre oggi viaggiamo sotto il 10%. Solo a marzo 2009 le autorita’ cinesi chiedevano lumi sulla solidita’ dei loro
investimenti in debito pubblico americano e, come ovvio, furono rassicurati. Forse
nel frattempo hanno trovato da soli la risposta. Assistenza stradale, questa sconosciuta
(16/02/2010) Errare è umano, perseverare è diabolico. L’hanno pensata così tutti gli italiani che
lo scorso anno sono rimasti in panne con la propria auto e che, ora, sono corsi ai
ripari sottoscrivendo una polizza ad hoc contro gli imprevisti che possono capitare
sulle strade. A scattare la foto sui disagi che mettono in ginocchio gli automobilisti è
un’indagine commissionata a Tns Italia da Assicurazione.it.
Numeri alla mano, emerge che gli italiani nonostante siano un popolo di santi,
navigatori e poeti, quando si tratta invece di rimboccarsi le mani e sostituire un
pneumatico forato allora non sanno proprio come cavarsela. Capita, infatti,
almeno 2 volte nella vita di un automobilista di trovarsi in questa spiacevole
situazione, ma ben nove milioni di guidatori (un quarto degli italiani) non hanno
idea di che cosa fare. Un dato che sale addirittura al 44% se si considerano solo i
E, allora, arriva in aiuto il cellulare. Basta, infatti, una telefonata per chiedere
assistenza. Ma se gli uomini in panne si rivolgono soprattutto agli amici (74%
degli intervistati), le donne lanciano l’sos prevalentemente al partner (47%) o ad
altri automobilisti di passaggio (29%).
Soluzioni praticamente a costo zero. Ma che cosa succede se il danno è più
grave? Allora si è costretti a chiame il carro attrezzi. Una soluzione obbligata
scelta da quasi un milione e mezzo di automobilisti che, tuttavia, hanno dovuto
mettere mano al portafogli per pagare il conto. Una spesa parecchio salata,
calcolando che per la sola chiamata del carro si spendono fino a 90 euro. Importo
a cui poi va aggiunto il trasporto e la parcella del meccanico.
Una spesa imprevista che potrebbe invece essere evitata se l’automobilista
scegliesse di includere nell’Rc auto una copertura aggiuntiva. Si tratta, infatti, di
un costo minimo - in media si tratta di 15 euro all’anno - che assicura l’assistenza
“Attualmente, ha spiegato Alberto Genovese, ceo di Assicurazione.it, questa
opzione l’ha sottoscritta appena il 7% degli automobilisti. Probabilmente il motivo
risiede in una conoscenza poco approfondita delle garanzie accessorie”.
Con dei distinguo a livello regionale. L’ondata di freddo e le continue nevicate
anche a bassa quota che flagellano soprattutto il Nord hanno spinto gli
automobilisti a sottoscrivere negli ultimi 12 mesi un numero più alto numero di
polizze per l’assistenza stradale. Così in Lombardia arriva al 13% la quota degli
guidatori previdenti, in Piemonte si scende al 10% e in Valle d’Aosta, Veneto,
Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Liguria si supera l’8%.
Puglia (1,9%), Campania (2,3%), Sicilia (2,7%) e Calabria (2,9%) le Regioni
invece meno propense a sottoscrivere questa copertura aggiuntiva.
Capitolo a parte per l’identikit dell’automobilista previdente. A livello nazionale
non sembrano esserci grandi differenze fra uomini e donne: ammonta al 7,5% la
percentuale del gentil sesso che opta per sottoscrive questa polizza di assistenza
stradale. Un po’ più basso il numero degli automobilisti: il 6,9%.
Sembra invece che mettere la fede al dito renda più previdenti. A confermarlo il
dato del 7,5% degli sposati che, per non rischiare di trovarsi impreparati davanti
a un guasto della propria auto, si assicura. I single si preoccupano di meno e solo
il 6% di loro aggiunge alla polizza RC auto l’assistenza stradale.
VERSIÓN CONSOLIDADA DEL TRATADO DE FUNCIONAMIENTO DE LA UNIÓN EUROPEA ACTOS JURÍDICOS DE LA UNIÓN, PROCEDIMIENTOS DE ADOPCIÓN Y Artículo 288 (antiguo artículo 249 TCE) Para ejercer las competencias de la Unión, las instituciones adoptarán reglamentos, directivas, decisiones, recomendaciones y dictámenes. El reglamento tendrá un alcance general. Será obligatorio en todos sus e